Quello di oggi è uno spillo. Niente dati, grafici, percentuali. Solo alcune prese d’atto. E un dubbio. Poche righe. Perché di fronte a certi spettacoli poco edificanti non servono fiumi di parole. Primo, fu il governo Renzi a lasciare carta bianca a Bankitalia per scrivere la riforma della banche popolari, forse sperando in un favore in cambio più avanti. Maria Elena Boschi dovrebbe dimettersi per una questione molto semplice, da tutti sottovalutata: nelle parole di Vegas, la maggiore preoccupazione legata alla potenziale aggregazione fra Popolare di Vicenza ed Etruria era il conflitto di interessi fra la principale attività economico-manifatturiera di entrambe i territori: l’azienda orafa. 



Ora, se è sacrosanto che un deputato o un senatore si interessino e tutelino il loro territorio, non lo è per un ministro. Oltretutto non del Tesoro ma delle Riforme istituzionali all’epoca, quindi senza alcuna prerogativa ministeriale sul sistema bancario. Tutti, Vegas in testa, negano pressioni della Boschi a favore di Etruria: non importa, il fatto stesso che un ministro incontri il capo della Consob, la cui nomina è appunto governativa, si traduce di fatto in pressione. Oltretutto, con uno di questi incontri che si è svolto fuori sede per la Boschi, ovvero a Milano: se si è recata apposta da Roma al capoluogo lombardo significa che l’argomento lo ha trattato in prima persona. Senza averne prerogative, se non quella dell’interesse personale o per conto terzi del padre: questo è innegabile. 



Come appare innegabile che Vegas avrebbe potuto parlare prima e non l’ultimo giorno a capo della Consob, ruolo al quale assurse in quota centrodestra, come non è mistero per nessuno: strumentalità? Certo, ma ciò non toglie che il conflitto d’interessi c’è stato. Matteo Renzi dice che fu il suo governo a commissariare le banche in questione, quindi appare risibile l’accusa di chi parla di un tutela del ruolo e della persona del padre della Boschi. Vero, ma il decreto nasce in automatico da un’iniziativa di Bankitalia, già avvenuta in passato e verso cui nessun esecutivo mai osò dire di no: siamo di fronte alla prassi, non a un atto di rottura o coraggio di cui farsi vanto. O, peggio, scudo. 



La Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, tramutatasi in ciò che vi dicevo un paio di settimane fa, a questo punto è destinata ad assumere un ruolo paradossale: avrebbe dovuto, per statuto, cercare la verità e dare risposte e, invece, lascerà soltanto domande, veleni e fango. Perché tempo dieci giorni chiuderà i battenti, lasciando sul campo di battaglia della campagna elettorale mine antiuomo sparse ovunque. Non è stata una scelta casuale, perché ormai nessuno più si aspettava la sua istituzione a legislatura in dirittura d’arrivo: chi ha spinto per questa tardiva attivazione non voleva la verità, voleva creare caos. Di più, se c’era ancora bisogno di conferme della volontà di un Nazareno 2.0, al netto dei giuramenti e degli spergiuri ai riguardo dei due protagonisti, andate e risentirvi la tiepidezza della reazione di Renato Brunetta alle dichiarazioni di Vegas: solitamente sempre un petardo, giovedì era una miccia con le polveri bagnatissime nei confronti dell’ipotesi di dimissioni della Boschi, invocate da tutte le altre forze di opposizione. Opposizione, appunto. Chi uscirà vincente da questo scontro? Difficile dirlo oggi, certamente sarà più facile la settimana prossima, quando saranno sentiti a Palazzo San Macuto tre calibri come Visco, Ghizzoni e Padoan. 

Fin qui, le prese d’atto. Ora, il dubbio. Al netto degli stracci politici e finanziari, il Nord Est non ha più banche di riferimento, banche del territorio. Certo, far credito come lo faceva lo smemorato Zonin era una iattura, ma era proprio necessario smantellare una rete di supporto all’area più dinamica economicamente del Paese, oltretutto in un momento in cui l’export sta trainando un minimo di ripresa? Già, perché occorre ricordare il prezzo di saldo a cui quelle banche sono state comprate da Intesa, di fatto una delle più grandi speculazioni di sempre, visto che la tempistica di documentazione e accountability dell’acquisizione parlano di una scelta preordinata e nota. E ancora di più, giova ricordare che i truffati dalle banche venete, al danno dei soldi persi devono sommare anche la beffa di essere pressoché tutti segnalati in centrale rischi bancari di Intesa, quindi per ottenere anche solo un prestito di 10mila euro devono portare in garanzia anche le lapidi dei loro defunti di famiglia: e come si ammodernano i capannoni senza soldi? E i macchinari? E i fornitori? Insomma, come si sta sul mercato, senza credito? 

Queste sono Pmi, non aziende che possono godere del canale di finanziamento non bancario della Bce attraverso le emissioni obbligazionarie, senza la banca del territorio che eroga denaro, sono morte. Forse, però, a qualcuno fa comodo che il motore economico della possibile, minima ripresa italiana sia azzoppato. Tanto più che, quasi in contemporanea perfetta con l’insediamento della Commissione sul sistema bancario, la Bce decideva di lanciare lo spauracchio dell’addendum sugli Npl; mandando subito in difficoltà una delle banche del territorio resistita all’Attila romano-europeo degli accorpamenti, ovvero dello shopping a prezzo di saldo per i grandi gruppi, il Credito Valtellinese. Non è che tutto questo can can somigli molto a un altro 2011, quando qualcuno all’interno del governo Berlusconi operò da cavallo di Troia per giungere all’arrivo dei tecnici? Non è che qualcuno, con la scusa della Boschi e compagnia bella, vuole accelerare il processo di ridimensionamento e accorpamento del sistema bancario italiano, magari facilitando ulteriori penetrazioni estere in territori particolarmente allettanti? Magari dei francesi?