Le Commissioni d’inchiesta dovrebbero servire per cercare la verità. Non una verità o la verità di qualcuno. Ma, paradossalmente, il loro destino è segnato fin dall’inizio, almeno nel nostro Paese: o finiscono nel nulla o insabbiate. Bene, quella sul sistema bancario – rispetto alle altre – nasceva ulteriormente zoppa: aveva poco più di due mesi per compiere un lavoro improbo. Di più, statutariamente avrebbe dovuto produrre due relazioni e invece ne pubblicherà solo una e, soprattutto, a detta di Boldrini e Grasso chiuderà definitivamente i suoi lavori con la fine della legislatura, senza possibilità di proroga nella prossima. Insomma, dieci giorni e stop. 



E cosa ci lascerà in eredità? Veleni, non certo la verità. Perché o si chiuderà con la vittoria di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, dopo l’audizione del procuratore di Arezzo, Roberto Rossi – il quale non solo ha scagionato di fatto la sottosegretaria e fedelissima dell’ex premier e il padre nell’affaire Etruria-Vicenza, ma ha avanzato pesanti riserve riguardo al ruolo di Bankitalia nella medesima vicenda – o con la sua fine politica definitiva. Nel primo caso, due piccioni con una fava: nome ripulito e vendetta compiuta su Visco. Certo, il fatto che lo stesso Rossi fosse consulente del governo Letta e poi riconfermato da quello guidato proprio da Matteo Renzi potrebbe far storcere il naso, ma resistiamo a queste tentazione del pensar male e analizziamo la situazione con freddezza: a questo punto cosa farà Pier Ferdinando Casini? 



Perché il punto è uno solo: da oggi in poi, quella Commissione sarà unicamente un’arena politica in vista del voto di primavera. La verità su quanto accaduto nel nostro sistema bancario, per quanto fosse possibile stabilirla in queste condizioni estreme di lavoro, oggi come oggi interessa quanto un documentario sugli organismi monocellulari del Borneo: da quelle stanze deve uscire un’arma da usare in campagna elettorale. Un’arma che non può essere usata da tutti: o da uno o dall’altro. Basti vedere le reazioni politiche di ieri all’audizione di Rossi: Renzi avrebbe addirittura scomodato l’insonnia di Visco per quelle parole, mentre le opposizioni sono partite lance in resta contro la narrativa assolutoria dell’ex premier. 



A questo punto, c’è un unico motivo di interesse: l’audizione di Federico Ghizzoni, ex ad di Unicredit. Il resto non conta, prendiamone atto. Se anche Gianni Zonin, colto da folgorazione sulla via di Damasco, decidesse di presentarsi spontaneamente e vuotare il sacco su anni e anni di “sistema Vicenza”, penso che gli offrirebbero un caffè e lo metterebbero alla porta. Idem con Giuseppe Mussari per Mps. Anzi, in questo caso non gli aprirebbero nemmeno la porta, visto che l’abito da capro espiatorio glielo hanno già cucito addosso in mezza audizione. E deve andare bene così. Solo Ghizzoni, infatti, può macchiare la ritrovata verginità politica di Maria Elena Boschi e del cosiddetto “giglio magico” rispetto a Banca Etruria, solo lui può dire se Ferruccio De Bortoli ha scritto il vero nel suo libro sui poteri forti, svelando come l’allora ministro e oggi sottosegretaria gli chiese di trovare una soluzione per la banca del padre che navigava in acque perigliose. 

Prepariamoci, quindi, a un effetto Draghi 2.0: esattamente come il presidente della Bce è stato usato come spauracchio, invocandone l’audizione in Commissione per spaventare il centrodestra, così temo che ora partirà un fuoco di fila per trascinare Ghizzoni su quella sedia che scotta in chiave anti-Renzi. E la tentazione potrebbe essere forte per molti, non solo Forza Italia e M5S. L’ex ad di Unicredit, infatti, finora non ha parlato perché legato a un vincolo di riservatezza con il proprio ex istituto, ma, avendo la Commissione i medesimi poteri della magistratura ordinaria, quell’ostacolo cesserebbe di esistere. Maria Elena Boschi minacciò querela contro De Bortoli per quella frase, ma non la presentò mai e ora i termini di legge sono scaduti: chi ha detto il vero e chi il falso?

Il senso della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario sta tutta qui, inutile negarlo: ed è stato così fin da principio, ovvero da quando Matteo Renzi ne ha intravisto le potenzialità di distorsione politica a uso e consumo elettorale. Si pensava a un uso interno, magari agitando lo spettro di Banca 121 contro Massimo D’Alema, ma Renzi è uomo pragmatico che non perde tempo e va dritto all’obiettivo principale: cancellare la macchia del decreto salvabanche dal curriculum del Pd, utilizzando il bianchetto della Commissione d’inchiesta. Finora, 1 a 0, sta vincendo la partita. Dovesse essere sentito Ghizzoni, potremmo rivivere – per i milanisti come me – l’incubo della finale di Istanbul. Parlano tanto di fake news in casa Pd, ma cos’è, in realtà, questa Commissione d’inchiesta, al pari del Russiagate agitato negli Usa come uno spauracchio a uso e consumo delle situazioni interne che necessitano di una bella cortina fumogena ad hoc? Nessuno vuole la verità, si cerca solo la pistola fumante contro l’avversario o l’arma di distruzione di massa per chiudere la partita elettorale. 

«Sullo scontro Pd-Bankitalia siamo tutti sufficientemente intelligenti da non confondere guardie e ladri», ha dichiarato Pier Ferdinando Casini. Lo stesso vale per una Commissione seria e una che appare con il passare dei giorni sempre più uno strumento a uso e consumo dello scontro fra fazioni partitiche. E, peggio, fra politica e istituzioni. Perché è palese che, al netto del mio giudizio su Bankitalia che non cambia, così come quello su Ignazio Visco, appare quantomeno folle la rincorsa a una delegittimazione di lungo termine della nostra Banca centrale, soprattutto alla luce di quanto accaduto nottetempo negli ultimi due giorni. Ovvero quanto descritto nei grafici qui sotto: il tasso d’interesse europeo overnight è infatti passato in brevissimo tempo da -36 a -24 punti base e le autorità hanno accertato senza dubbio che non si è trattato di un fat finger, ovvero dell’errore di immissione di un operatore. 

Una grossa istituzione Usa ha anticipato al 30 novembre dal 31 dicembre i termini di chiusura del proprio accounting? Non si sa. L’altra ipotesi è direttamente legata al secondo grafico: ovvero, la Bce ha dato vita a una mini-aumento dei tassi oppure a un grosso drenaggio di liquidità dall’Eurosistema negli ultimi due giorni prima del weekend. E per quanto in una situazione di indigestione monetaria come quella che stiamo vivendo, una situazione simile non sia fuori dal mondo, lo è la magnitudo. Cos’è accaduto al tasso di riferimento nelle operazioni a brevissima scadenza del sistema interbancario europeo fra mercoledì e giovedì? L’Eonia, di fatto, rappresenta la media ponderata dei tassi di interesse nell’eurozona: la Bce ha voluto operare uno stress test non concordato per vedere la reazione? 

Beh, se così fosse, abbiamo avuto un esempio di cosa può aspettarci in caso di shock sui tassi a livello globale, esattamente ciò da cui ha messo in guardia la stessa Eurotower non più tardi di due giorni fa e di cui vi ho parlato diffusamente. Il 2008, cominciò così, con tremori sull’interbancario overnight che solo pochi interpretarono correttamente. Proprio il caso di scatenare guerre politiche che potrebbero trovarci a guardia abbassata e in pieno caos durante una nuova crisi che monta? I segnali stanno continuando a succedersi. E il nostro sistema bancario, al netto dei lavori della Commissione, non reggerebbe un altro urto. Non senza morti e feriti, questa volta al netto di tutti i decreti salvabanche del mondo.