Visco, con stile, ridicolizza Renzi e Renzi – che in un empito di lucidità aveva dedicato il week-end a provare in tutti i modi di ricucire col governatore che non avrebbe voluto rivedere sul suo soglio, dopo averlo indicato come responsabile di tutti i mali bancari d’Italia – definisce chiuso un caso che il resto del mondo continua a vedere palesemente aperto, aperto sull’insipienza di un gruppetto dirigente capace di tutto e buono a nulla.
È la sintesi triste di una giornata in più del calvario bancario di Renzi. Non ci sono state pressioni, nel caso Etruria, da parte del Giglio Magico, ma solo domande, legittime in sé, ma lasciate senza risposte dagli uomini della Banca d’Italia: questo Visco l’ha detto e descrive un quadretto chiaro. Da una parte, un’istituzione magari grigia e un po’ lenta ma seria e rigorosa nel suo segreto d’ufficio; dall’altra un gruppetto di sprovveduti, che non sa di non poter chiedere certe cose e ci prova, conta sul favore del momento per esercitare di fatto un indirizzo che non compete loro. Un quadretto non po’ deprimente. Che però autorizza il segretario del Pd a tirare un sospiro di sollievo: contento lui.
In realtà, siamo, da parte del governatore, a un semplice fair-play istituzionale: “Noi riceviamo moltissimi politici”, ricorda Visco parlando alla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche, come per dire: li conosciamo, quelli. E il segreto d’ufficio verrebbe violato se il vertice della Banca d’Italia parlasse di banche con altri che con il ministro dell’Economia, tra gli altri con cui non parlare c’è anche il premier, che naturalmente non lo sa, chiede lumi direttamente e si fa dire di no…
Davvero: più deprimente che grave. La “fissa” di Renzi era, nella primavera del 2014, quella che gli instillava Meb, Maria Elena Boschi, la sua persona di fiducia a Palazzo Chigi. Banca Etruria era in difficoltà, e d’accordo: e il rischio da scongiurare era che, intervenendo a rilevarla la Banca popolare di Vicenza, l’azionariato veneto di quest’ultima – composto anche dai ricchi industriali orafi vicentini – potesse trarre vantaggio dalla conquista di questo avamposto nell’economa aretina, ai danni appunto degli storici concorrenti orafi di Arezzo. Tutto qui. La casa brucia, e pompieri si preoccupano della tendina del finestrino del bagno. Il Paese è in bilico su una crisi bancaria devastante, e la sollecitudine del vertice del governo riguarda le sorti di quattro aziende orafe del collegio elettorale di Meb. Non c’è dolo, non c’è pressione: il guaio è che non c’è nulla, non c’è proprio nulla, nessuna competenza, nessuna visione, nessuno spessore. Quanto alle pressioni, poi, che bello: non ci sono state.
E qui viene da chiedersi: se il signor Rossi, ragioniere al catasto, anni 60, 68 chili di peso per 1 metro e 67 di altezza, si trova al parcheggio pubblico con la sua utilitaria e mentre sta per infilarla in un posto libero tra altre due auto si accorge che nello stesso posto vuole entrare Mike Tyson, l’ex campione del mondo dei pesi massimi di pugilato, il ragionere cosa farà? Lascerà il passo o contrasterà l’enorme concorrente? Probabilmente, e senza attendere che Tyson faccia pressioni di sorta, gli lascerà il passo: gli basterà guardarlo, per accorgersi che Tyson è il doppio di lui e se s’arrabbiasse e decidesse di picchiarlo lo sgretolerebbe, e deciderà di ritirarsi in buon ordine.
Ecco: un politico di governo fa pressioni come respira. Il potere che l’ordinamento gli conferisce è una specie di pistola carica che può sparare appena si sfiora il grilletto. I suoi comportamenti taciti sono già, di per sé, una pressione. Ma per capirlo, e comportarsi di competenza, ci vuole sensibilità istituzionale.
D’altronde, se l’oggetto di questa pressione implicita che risiede nel puro e semplice approcciarsi come uomini di governo al dialogo con un’altra istituzione o, peggio ancora, con un privato è un personaggio psicologicamente e istituzionalmente solido, non considererà pressione l’atteggiamento nudo e crudo di chi, non dovendolo fare, pone domande improprie e gli dirà di no. Insomma, Renzi e Boschi non erano Tyson e Visco non era il ragioniere del catasto. Ma che ci sia stata o meno la pressione indebita è un fatto di rapporti di forza impliciti, non di buone intenzioni o di enunciazioni. L’intenzione di Renzi e Boschi era quella che Banca Etruria fosse aiutata a restare autonoma o a non andare ai vicentini: e fecero quello che poterono per ottenerlo, senza riuscirci per incapacità e incompetenza. Non è reato, è insipienza; non è pressione, è impotenza, frustrata impotenza.
Poi però, tre mesi fa – ed ecco la prova regina che nella testa del Giglio Magico quei contatti su Etruria erano pressioni eccome! – quella frustrazione di aver chiesto senza ottenere genera nel segretario del partito di maggioranza relativa che sostiene il governo Gentiloni la decisione di dire apertamente che Visco – il governatore che si è rifiutato di rispondergli alle sue “legittime domande” (come le definisce con ironico fair play oggi) sulle banche del territorio – è responsabile delle crisi bancarie e non va rieletto. E quel “niet” di Renzi avrebbe avuto l’effetto di pensionare Visco, se il premier Gentiloni, sostenuto dal presidente della Repubblica Mattarella, non avesse ignorato un atto di rappresaglia decidendo di confermare Visco al suo posto.
Allora? La pressione c’era stata, eccome; semplicemente, Visco ha fatto finta di non vederla, senza per questo atteggiarsi oggi a eroe; e se non la racconta come pressione, limitandosi a farla intendere, è grazie a quello stesso stile e quella stessa solida indifferenza alle altrui intemperanze che ai tempi della crisi lo aveva aiutato a rispondere picche al Giglio Magico; ma oggi, fosse stato per Renzi, si sarebbe beccato la punizione dovuta per quella indipendenza declinata con tanta naturalezza istituzionale.