La scorsa settimana sia la Borsa, sia l’affidabilità dei titoli di debito sono stati penalizzati dall’aumento del rischio politico percepito dai mercati al riguardo dello scenario post-elettorale dell’Italia. Il problema non è tanto l’eventuale incertezza post-elettorale, dove comunque ci sarà un governo, quanto il fatto che quasi tutti i partiti comunicano offerte politiche che implicano il ricorso al deficit di bilancio invece che alla sua riduzione. Più rilevante è che nessuno di loro metta in priorità né la riduzione del debito pubblico, né la produttività della spesa pubblica, mantenendone una gran parte dissipativa. In sintesi, il sistema politico italiano sta, di fatto, comunicando al mercato che non vorrà/potrà mettere in ordine l’Italia e il mercato stesso sta prendendo una posizione prudenziale temendo instabilità finanziaria e interruzioni della ripresa economica.
Un politico potrebbe dire che il mercato non vota e che una cosa è il linguaggio di campagna elettorale e un’altra è la vera azione di governo, peraltro vincolata dai tratti europei. In realtà, il mercato vota decidendo dove indirizzare i flussi di capitale che determinano la vita o la morte economica di una nazione in un sistema globale dove il capitale stesso può circolare liberamente. Inoltre, se la distanza tra promesse elettorali e azioni realmente fattibili è eccessiva, allora gli attori di mercato percepiscono o che il complesso politico è inconsistente oppure che la situazione della nazione è talmente compromessa da costringere la politica a usare toni illusori per rassicurare una società in ansia e ottenerne il consenso.
Infatti, c’è il rischio che l’Italia, dove l’impoverimento ha colpito circa il 40% della popolazione e non è stato, ancora, sostanzialmente ridotto dalla ripresa 2016-17, sia classificata in una situazione “argentina”, cioè nazione a rischio d’insolvenza e di suggestioni peroniste. Sul piano dei dati oggettivi tale rischio, oggi e nel breve termine, non esiste pur l’Italia a ripresa troppo lenta e con debito enorme (130% del Pil) aumentato nel 2017 di 100 miliardi. Ma se il futuro governo non saprà accelerare la ripresa, ridurre parte del debito vendendo patrimonio pubblico, riorganizzare la spesa eliminando gli impieghi inutili a favore di più investimenti e meno tasse, allora il rischio ci sarà. E il mercato sta iniziando a scontarlo.
Per evitare che tale percezione interrompa la ripresa, la politica dovrebbe competere in campagna elettorale sul piano delle soluzioni vere e non rimuoverle.