A che gioco sta giocando Giulio Tremonti? Viene da chiederselo, soprattutto alla luce del fatto che oggi l’ex ministro delle Finanze del governo Berlusconi non si presenterà in Commissione d’inchiesta sul segreto bancario, ma invierà una memoria scritta. Dura la motivazione della sua scelta: ritiene l’organo investigativo bicamerale una farsa. A cui intende sottrarsi. Sdegnosamente, com’è nel suo stile. In compenso, ha fatto precedere questa sua rumorosa assenza da un paio di comparsate televisive dove, oltre a menare fendenti, si è levato parecchi sassolini dalle scarpe, mettendo chiaramente nel mirino Bankitalia. E non tanto l’attuale gestione Visco, quanto quella che accompagnò di fatto alla porta il governo Berlusconi nel 2011 a guida Mario Draghi, con la famosa lettera a doppia firma con Trichet.
E, ieri mattina ospite di Omnibus su La7, per la prima volta ha proferito la parola magica, finora uscita in maniera quasi ossessiva solo dalla bocca di Renato Brunetta, riferita proprio a quei mesi di turbolenza: golpe. Nella memoria ci sarà scritto tutto questo, ma, soprattutto, ampi stralci della relazione in cui Draghi parlava del sistema bancario italiano e dei conti pubblici con toni entusiastici: era del maggio 2011. Cos’è accaduto in pochi mesi, cosa ha fatto precipitare tutto ad agosto con la lettera congiunta e poi fino allo psicodramma di novembre, accompagnato dallo spread a 575 punti base? Tremonti lo dice chiaro: di fatto, l’emergenza italiana occorreva per salvare la banche tedesche e francesi, garantire loro un bypass alla logica degli aiuti di Stato (vietati) per ricapitalizzare in fretta e furia (i famosi 250 miliardi spesi da Berlino per mettere in sicurezza i propri istituti di cui continuiamo a sentire parlare quando si polemizza sul bail-in e sulla tardiva reazione italiana) e la logica sarebbe stata garantita da quella che il professore di Sondrio chiama l’accoppiata Quirinale-Bocconi, ovvero Giorgio Napolitano e Mario Monti, l’ultimo chiamato di lì a pochi mesi a “salvare” l’Italia dal destino greco con una ricetta scritta a Bruxelles e Berlino.
Accuse di enorme pesantezza, con nomi e cognomi altrettanto pesanti. Le quali oggi finiranno sui tavoli di Palazzo San Macuto, proprio il giorno prima dell’audizione dello stesso Mario Monti, l’atto finale dei lavori della Commissione. La quale, quasi a dare fondamento all’accusa di Tremonti, pare non produrrà una relazione finale, ma ben tre: capite bene che equivale a non produrne nessuna, visto che si elideranno reciprocamente e lasceranno sul terreno solo gli schizzi dei fango della querelle Boschi-Etruria, perfetta per una campagna elettorale intossicata da scorie fin dal principio.
Perché Tremonti, partendo dal presupposto di ritenere i lavori della Commissione una farsa, gioca però nella stessa sede una carta di questa forza politica? Per ritagliarsi un ruolo pre-elettorale e guadagnare spazio? Avrebbe a quel punto fatto meglio a presentarsi, sfoderando la sua verve polemica e sarcastica. Il duello con Mario Draghi è noto, i due non si sono mai amati e certamente non cominceranno a farlo adesso: Tremonti riconosce un ruolo di grande importanza all’antagonista, tanto da ridicolizzare in tv la richiesta del deputato Pd, Matteo Orfini, di convocarlo in Commissione, ma quel suo squadernare dichiarazioni e atti che contraddicono le emergenze del 2011, le stesse che qualcuno vorrebbe porre come radice dei mali recenti del sistema bancario, sono chirurgiche e taglienti come un bisturi: solo voglia di difendere la propria onorabilità e credibilità, dopo il tanto parlare (quasi sempre a sproposito) su quella stagione dalle troppe coincidenze (confermate recentemente nel libro di Roberto Napoletano anche da un non certo berlusconiano come Romano Prodi) e dai troppi misteri?
Una cosa è certa, Tremonti non parla a caso. Certo, la scelta temporale è stata obbligata dalla convocazione in Commissione, ma quella di non presentarsi, limitandosi all’invio di una memoria scritta, ancorché amplificando per bene il proprio diniego quasi aristocratico andando per tre giorni di fila in televisione, no. Quella è voluta. State certi che giornali e commissari di San Macuto si guarderanno bene dal radiografare quella missiva, dal darle troppa importanza o rilievo: perché lì dentro ci sono carne e sangue di questa nostra Repubblica e della sua storia recentissima, dei suoi misteri e delle sue debolezze. Guarda caso, il destino – questa volta davvero, solo destino – ha voluto che la memoria scritta di Tremonti arrivasse in contemporanea con le rivelazioni su Ustica, di fatto un’ammissione di colpa Usa per l’abbattimento del volo Itavia nel corso di un combattimento contro mig libici nel contesto di una missione Nato. Lo ha detto ad Andrea Purgatori un marinaio statunitense presente quella sera sulla portaerei Saratoga: un altro prima di lui ci aveva provato. Era morto in uno strano incidente stradale prima di poterlo fare: a quanto pare, Washington vuole mandarci un messaggio (o regalo) pre-elettorale.
Leggetela con attenzione quella memoria, dalla prima all’ultima riga: dentro ci saranno accuse anche strumentali e meramente difensive, ovviamente. Ma anche molte verità. Magari nascoste fra le righe. Lasciate stare Ghizzoni e Visco, la Boschi e Lotti. Quella è solo campagna elettorale ormai, fango a buon mercato. Ricordatevi che ciò che davvero conta nelle Commissioni d’inchiesta è ciò che non emerge. O emerge soltanto perché ignorato da tutti. Scommettete che nessuno avrà il coraggio di muovere rilievi contenuti nella memoria di Giulio Tremonti a Mario Monti, domani in audizione? E attenzione, quanto scritto dall’ex ministro è un palese e micidiale siluro contro Giorgio Napolitano, quasi una vendetta postuma contro quello che è ritenuto da alcuni il “grande vecchio”. Sicuri che oltre all’esecutore materiale che manda memorie e lancia strali in tv non ci sia anche un bel mandante, nemmeno troppo occulto e molto arzillo ultimamente, dietro?