Natale è alle porte e, secondo un’indagine del Codacons, la spesa delle famiglie per le feste si attesterà sui 10 miliardi di euro, con un importo procapite comprensivo di regali, addobbi per la casa, alimentari, ecc. attorno ai 166,6 euro. Gli italiani prevedono di spendere più per cenone, viaggi, prodotti hi-tech, mantenendo stabile il budget per i regali. A diminuire è invece quello per l’albero di Natale e gli addobbi per la casa. Abbiamo chiesto un commento a Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.



Professore, cosa pensa di questo dato?

Vista la cifra, siamo intorno ai 400-500 euro a famiglia. Non mi sembra una spesa particolarmente elevata, ma mette tuttavia in evidenza come il Natale, nonostante ciò che si dica, sia un momento importante per la famiglia, che coinvolge più generazioni. È un momento che mostra in controluce il tessuto di relazioni affettive e umane e in cui domina una parola che pare fuori dai tempi: regalo. Fare un regalo è impegnativo, non tanto per una questione di esborso monetario, ma perché significa fare un esercizio di empatia. Donare è cercare di immaginare che cosa all’altro faccia piacere.



Secondo i dati del Codacons, la spesa per i regali resterà costante. Ciò non toglie che anche nei doni si rifletteranno le disparità socio-economiche…

Assolutamente, basta pensare a quanto può costare regalare uno smartphone rispetto ai 166,6 euro indicati come spesa complessiva. C’è tuttavia da dire che proprio in questa occasione le disparità esistenti possono essere in parte attutite dalla capacità empatica di entrare nei panni degli altri. Quindi, anche senza spendere troppo è possibile far felice una persona, perché la gioia non è monetizzabile.

Il Codacons spiega che a limitare gli acquisti delle famiglie è l’incertezza sul futuro del Paese, insieme alle preoccupazioni per il lavoro e il reddito. Questa situazione può migliorare in futuro?



Può migliorare se i problemi vengono affrontati. Per fare un esempio, negli Usa è stata varata una riforma fiscale che gioverà soprattutto ai più ricchi. Un qualcosa che non sarà di grande aiuto se la disoccupazione è sì scesa a livelli che in passato erano considerati piena occupazione, ma la crescita dei salari è inchiodata.

Questo può avvenire anche in Italia?

In Italia ormai la media dei salari sta diminuendo. Grazie alle riforme del mercato del lavoro che sono state fatte è molto semplice diminuire i salari perché si può licenziare più facilmente una persona e al suo posto prenderne una che costa meno. Questa politica del mercato del lavoro ha prodotto una diminuzione dei salari, salvo che per quelle posizioni iper-qualificate difficili da rimpiazzare. Da questo punto di vista la situazione dei giovani è drammatica. Non si può parlare di politiche per i giovani con una struttura del mercato del lavoro che sostanzialmente premia chi manda via le persone e ne prende altre pagandole meno, magari con un contributo dello Stato. È un contesto in cui per un giovane il regalo più bello potrebbe essere un posto di lavoro stabile, con un reddito stabile.

Sta quindi dicendo che si è creata una finta stabilità, nonostante si incentivino i contratti di lavoro a tempo indeterminato?

Beh, basta pensare che è stata bocciato l’emendamento alla Legge di bilancio che voleva aumentare da 4 a 8 mesi l’indennità in caso di licenziamento. Io sono rimasto di stucco: che stabilità si può avere con un’indennità così bassa in caso di licenziamento? Per certi versi questa è la prova di una lontananza siderale dell’élite politica dai bisogni del Paese, in particolare dei giovani. Dimostrata anche dal fatto che anziché aggredire i veri problemi del Paese si dice che i giovani sono in queste condizioni perché ci sono le pensioni dei “privilegiati”. Dimenticando che a Natale i figli e i padri stanno insieme e che questi ultimi spesso fanno regali importanti ai primi, grazie a quelle pensioni. I problemi del Paese sono altri, non questa sciocca contrapposizione generazionale che si continua ad alimentare.

Tra le proposte delle forze politiche ne vede qualcuna capace di cambiare la situazione?

Ci sono delle buone intenzioni, ma proposte robuste e serie fatico a vederle. Basta pensare alla flat tax. Si può rinunciare alla progressività sul lato delle entrate, purché la si riporti dal lato delle uscite, con servizi mirati per chi ha più bisogno. Ma questa non è una preoccupazione di chi parla di flat tax: si creano solo spinte al disavanzo, che colpiranno i servizi pubblici, come la sanità, dove già il costo del ticket non è lontano dai livelli di mercato della prestazione sanitaria. Non vedo quindi proposte approfondite, che facciano vedere come si possa costruire una società più giusta e più dinamica, che valorizza in particolare i giovani.

Secondo lei, qual è quindi l’intervento prioritario da mettere in campo?

Di sicuro occorre un ripensamento del mercato del lavoro perché si favorisca una cultura d’impresa che sia davvero coerente con l’ideale che negli anni passati era più presente di responsabilità sociale. Ci vuole una politica vera e genuina di investimenti. Bisogna prioritariamente investire sulle persone e questo vuol dire in particolare dare opportunità, non spremere i giovani, che sono la risorsa che si dice sempre di avere in testa, ma poi è l’ultima a essere considerata. Bisogna investire sulle persone, a partire dall’istruzione, perché le scuole sono importanti per risvegliare un Paese.

(Lorenzo Torrisi)