“Il crollo di Bitcoin”, “Esplode la crypto-bolla”,”Bitcoin crolla del 40% in due giorni”. Sono stati questi i titoli che abbiamo visto campeggiare negli ultimi giorni sulle prime pagine dei quotidiani, dopo che per mesi la grande stampa ha finto di ignorare quanto stesse accadendo nel mondo misterioso della blockchain. Ma è davvero scoppiata la bolla? E poi, Bitcoin è una bolla oppure è soltanto l’alibi che i mercati ufficiali e regolamentati stanno disperatamente cercando per evitare di ammettere l’evidenza: ovvero, che se esiste qualcosa di manipolato e fuori da ogni valutazione reale, questi sono proprio i mercati obbligazionario e azionario, con il loro coté di contratti derivati?



Il tema non è da poco, perché potrebbe regalarci la traccia di un tema da svolgere nel 2018, argomento che potrebbe diventare filo conduttore di una narrativa finanziaria cominciata, di fatto, nel 2008 e che potrebbe ora essere arrivata al suo epilogo sistemico e strutturale. Per cercare di tirare un fil rouge ideale che non sia troppo tecnico e complicato, utilizzerò il Giappone come proxy della situazione generale, ovvero economico-politico-finanziaria. Fino a non molto tempo fa, infatti, ogni riunione del board della Bank of Japan era un avvenimento da fiato sospeso: le Borse cominciavano ad andare in apnea o fibrillazione tre giorni prima e reagivano immediatamente agli annunci, salendo o scendendo in maniera netta, così come i rendimenti obbligazionari – sovrani in testa – e i cross valutari.



Il 20 dicembre scorso la Banca centrale del Giappone si è riunita per decidere sui tassi e sul programma di stimolo dell’economia, il cosiddetto Abenomics. Di fatto, nessun cambiamento: gli acquisti obbligazionari di titoli di Stato nipponici continueranno al ritmo di 80 triliardi di yen, il tasso di riferimento rimane a -0,100% e il target di rendimento del bond decennale allo 0%. Ma, soprattutto, cosa fondamentale in riferimento al programma di Qe, «le aspettative inflazionistiche sono rimaste in una fase di indebolimento». Insomma, avanti tutta. Messaggio ambivalente che può essere letto in due modi: il Nikkei può continuare a festeggiare, quindi aspettative rialziste per il mercato equity oppure che quanto fatto finora, ovvero aver dilapidato un patrimonio e devastato i meccanismi di funzionamento del più grande mercato obbligazionario sovrano al mondo, non è servito a nulla. Ma si prosegue.



Bene, il mercato non solo ha totalmente ignorato la riunione del board nei giorni precedenti, ma dopo la pubblicazione della nota non ha fatto un plissé. Chi invece ha reagito e con una brutale sell-off sono stati Bitcoin ed Ethereum, come ci mostra il grafico qui sotto: le cryptovalute sono il nuovo indicatore, il nuovo proxy da guardare? Lo vedremo. In compenso, due giorni dopo la riunione della Banca centrale, il 22 dicembre, è stato il governo giapponese a reagire: nel senso che ha tracciato una chiara linea di intervento economico, di fatto totalmente scollata da investimenti industriali fissi che si possano mettere in relazione con le risorse liberate dal Qe. Il governo del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha infatti approvato in via definitiva il suo più alto budget per la Difesa, 5,19 triliardi di yen (46 miliardi di dollari), destinato ad aumentare le proprie dotazioni di missili balistici di fronte alle crescenti minacce da parte della Corea del Nord: l’aumento rispetto a quest’anno sarà dell’ 1,3%.

Si tratta del sesto aumento delle spese militari sotto il governo Abe, che fin dall’anno del suo insediamento, il 2012, ha posto fine a un decennio di tagli alle spese militari. Il governo ha anche approvato una spesa di ulteriori 23,5 miliardi di yen (208 milioni di dollari) per incrementare entro marzo la propria dotazione di intercettori di missili di ultima generazione, avviare la costruzione del sistema missilistico statunitense Aegis Ashore e altro equipaggiamento. La proposta deve ora passare dal Parlamento, ma è chiaro che Abe continua a sostenere le pressioni di Trump sulla Corea del Nord e ha deciso di aumentare la minaccia del proprio arsenale missilistico con armamenti Usa. Quindi, al netto del rinnovato mandato popolare ottenuto non più tardi di un mese e mezzo fa, pare difficile che l’Aula si ponga di traverso. Insomma, è il warfare – ovvero il moltiplicatore del Pil legato al comparto bellico-industriale – la risposta alla di fatto stagnazione dell’economia, la classica ricetta del “due piccioni con una fava”, visto che garantisce – oltre a crescita nominale – lo scudo politico statunitense a Tokyo in un momento di contrapposizione sempre più forte fra blocchi, non ultima la minaccia cinese che il governo Abe sta utilizzando da tempo come spauracchio, al pari di quella russa per l’amministrazione Usa.

Ma attenzione, perché il dato più interessante dal Giappone è arrivato ieri ed è quanto si vede nel grafico più in basso: stando a dati del ministero della Sanità, le nascite in Giappone nell’anno che sta per chiudersi sono state soltanto 941mila, il livello più basso da quando il dato viene tracciato, ovvero da 1899 e circa il 65% al di sotto del picco di nascite registrato nei tardi anni Quaranta. E stando a proiezioni del National Institute of Population and Social Security Research il trend non potrà che peggiorare, tanto che è previsto che da qui al 2045 il Giappone perderà 900mila abitanti all’anno e vedrà la sua popolazione totale calare da 126,5 milioni a 88 milioni nel 2065 e solo 51 milioni di 2115. Praticamente, l’estinzione demografica.

E a rincarare la dose, oggi ci sarebbe anche un pericolosissimo trend che sta prendendo piede fra i giovani, la cosiddetta “sindrome del celibato”: stando a un sondaggio pubblicato la scorsa settimana dalla Japan Family Planning Association, il 45% delle donne giapponesi fra i 16 e i 24 e il 25% degli uomini di pari range di età sono «totalmente indifferenti e disinteressati ad avere contatti sessuali». Insomma, un Paese morto che invece ci viene spacciato come modello di sviluppo soltanto per due variabili: un’economia basata sulla prospettiva della guerra e una sistema finanziario completamente disfunzionale e manipolato che mantiene in vita il mercato equity, il quale a sua volta funziona da dinamo di un comparto industriale che non è certo la tigre asiatica di un tempo. E, potere dello spauracchio nordcoreano, la Corea del Sud sembra in linea di seguire la medesima parabola giapponese, non fosse altro per questo grafico: e cosa unisce, oltre alle minacce di Pyongyang, i destini di questi giorni di Seul e Tokyo? Essere stati i detonatori dei crolli di Bitcoin.

(1- continua)