L’economia italiana entra con un certo slancio nel 2018 grazie alla tendenza espansiva del 2017, dove il Pil è cresciuto attorno allo 1,5%. Il traino per la crescita è stato principalmente esterno, cioè fornito dall’export, grazie al boom della domanda globale, e dalla politica monetaria molto espansiva della Bce che ha protetto il debito e il sistema finanziario italiani da crisi di sfiducia. Anche il mercato interno ha cominciato a muoversi pur ancora in volumi insoddisfacenti sul piano dei consumi, dell’occupazione e della ripresa di alcuni settori colpiti durante la grave recessione 2012-14.



In comparazione con le altre economie dell’Eurozona, la crescita di quella italiana è stata inferiore perché il 60% del sistema è fatto da piccole imprese non internazionalizzate che hanno colto di meno il traino del boom globale e risentito di più dell’inefficienza fiscale, amministrativa e normativa dello Stato italiano, nonché della mancanza di investimenti pubblici infrastrutturali e di restrizioni del credito.



L’Italia è ancora in fase di riparazione dopo la crisi recessiva e senza risorse per attivare gli investimenti utili a modernizzare il sistema in base ai nuovi requisiti dell’economia tecnologica. Ciò è la causa delle tendenze correnti nella nazione: le aree già industrialmente forti corrono di più mentre le altre annaspano perché non sostenute da investimenti e stimoli fiscali. Tale pericolosa – perché fa divergere troppo gli interessi dell’elettorato – differenza dipende, appunto, dal gap d’investimenti pubblici nazionali che a sua volta è causato dal concetto sbagliato di stabilità che ispira i trattati europei e i vincoli imposti alle politiche economiche nazionali: sacrificare gli investimenti futurizzanti e sistemici per la priorità dell’equilibrio contabile del presente. Ciò fa prevedere che nel 2018 l’Eurozona, nel suo complesso, e l’Italia stimoleranno poco il mercato interno e dipenderanno molto dagli andamenti di quello globale senza poter influenzarli con un proprio effetto locomotiva.



In sintesi, dobbiamo sperare che nel 2018 non ci siano guai mondiali tali da interrompere il boom globale in atto. Se così, l’Italia dovrebbe crescere attorno all’1,4% confermando la ripresa lenta. Ma alla condizione che il risultato post-elettorale non porti a un’ingovernabilità tale da indurre il mercato a togliere fiducia alla sostenibilità del debito e, conseguentemente, l’Ue a pretendere un rigore depressivo. Il punto: nel 2018 la politica e la sua responsabilità saranno fattori chiave per l’economia, molto più del solito.

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