Dal 1° gennaio, stangata sulle bollette elettriche (+5,3%), e sul metano (+5%). Perché? Denuncia il presidente del Codacons Carlo Rienzi: “I rincari sono determinati da fattori speculativi che nulla hanno a che vedere con i costi reali di approvvigionamento: basti pensare che alla base del rialzo del +5% del gas vi è la prevista maggiore domanda per i mesi invernali, mentre l’incremento del +5,3% per l’elettricità è causato, tra i vari fattori, anche dagli oneri per la sicurezza del sistema elettrico, che così vengono scaricati interamente sui consumatori”.
Dunque chi è il “cattivo”; in questo film? Chi è lo Stranamore che pompa i prezzi del gas e decide malignamente di far pagare solo a noi la sicurezza? In realtà, questo Stranamore non c’è, o forse ce ne sono mille, e tutti di età stagionata e remote origini… Più che un complotto c’è un pasticcio storico, una stratificazione di imprevidenze e inefficienze, tra le quali la speculazione ha prosperato, ma non ne è stata l’unica né la principale causa. Proviamo a capirci qualcosa.
Innanzitutto, affidandoci alla “scaletta” stilata da Jacopo Giliberto, giornalista del Sole 24 Ore tra i più esperti in materia, apprendiamo che i fattori di costo nascosti dentro questi rincari sono ben nove, e a novembre hanno fatto schizzare all’insù del 20% i costi del chilowattora alla Borsa elettrica: 1) la siccità che ha ridotto la produzione idroelettrica; 2) la produzione a singhiozzo del nucleare francese, dovuta a cause interne; 3) la portata inadeguata delle linee ad alta tensione con l’estero, mai sviluppate per i molti comitati del “no”; 4) l’aumento della domanda, trainato dalla ripresa industriale; 5) il temporaneo dimezzamento della capacità di pompaggio del gadotto Tenp, per manutenzione straordinaria; 6) è capitata una concomitanza infelice con un rincaro programmato da tempo, cioè l’aumento dei contributi che lo Stato paga alle industrie ad alto consumo elettrico che però, per risparmiare, si rendono disponibili a interrompere l’assorbimento di energia (quindi: fermarsi) qualora il sistema vada in deficit e lo richieda, una specie di “polizza elettrica” di cui il Paese si dota pagandone un costo: questo costo è aumentato, anch’esso proprio adesso; 7) far fronte alla forte domanda invernale e produttiva in concomitanza con tutti questi fattori di minore offerta ha richiesto il massimo ricorso del sistema elettrico alle cosiddette “centrali elettriche essenziali”, che sono catafalchi inefficienti e costosi ma non sostituibili, per ora: mandarle a pieno regime per produrre l’energia indispensabile quando non ce n’è sul mercato di più efficiente costa un sacco ma va fatto; 8) penultimo fattore, alcuni sconti decisi una settimana fa dal governo per alcune industrie manifatturiere “energivore”, che appunto consumano molto, ma che vanno sostenute perché stanno esportando bene e questo giova al Paese; 9) infine, e finalmente, un fattore speculativo. Anche la Borsa elettrica ha i suoi prodotti derivati, sui quali operano spregiudicatamente alcuni soggetti che sono nel mirino delle autorità di controllo per multe e sanzioni varie, ma i cui comportamenti hanno contribuito a loro volta al rincaro.
Arrivati a questo punto, il consumatore stangato non sa più cosa pensare: di chiaro c’è solo il caro-bolletta, mentre la soddisfazione amara di prendersela con qualcuno viene di fatto negata. E allora?
Allora, un po’ di deduzioni sono lecite. La politica energetica del nostro Paese purtroppo è uno dei settori sui quali ci siamo espressi al peggio. E non solo per l’irragionevole stop al nucleare voluto a suo tempo, che non ha protetto l’Italia da alcun rischio, vista l’estrema vicinanza delle centrali atomiche francesi, esponendoci invece alla dipendenza dall’atomo straniero. Questa è una delle cause originate dalla miopia politica del Paese ma inteso non solo come classe politica, bensì anche e soprattutto come cittadinanza tutta.
L’altra causa è l’obsolescenza della rete elettrica e dei metanodotti, a causa sicuramente della sindrome del “nimby” (Not in my backyard, come dicono gli americani: non nel mio giardino) per cui troppe grandi opere sono state bloccate per i veti locali (nessun riferimento alla querelle sull’approdo del metanodotto Tap, che la Regione Puglia non ha mai bloccato e avrebbe solo voluto, peraltro secondo molti giustamente, che sbarcasse alcune decine di chilometri più a Sud). Anche il Nimby non è solo firmato dai politici, ma da tutti noi.
Infine, le rinnovabili: sono state uno dei settori in cui l’Italia si è espressa al meglio, sviluppandone la produzione a ritmi quali-quantitativi europei. Come mai, in anni nei quali siamo rimasti indietro su quasi tutti gli altri fronti? Semplice: perché le energie rinnovabili sono state l’ultimo settore ad alto investimento “keynesiano”, cioè denaro pubblico profuso a pioggia, tanto non pagava lo Stato ma tutti noi attraverso le bollette. Sono stati ben spesi questi soldi? Naturalmente no. Perché molto si è fatto, ma con le risorse dispiegate si sarebbe dovuto e potuto fare molto di più, e invece gran parte di quei soldi sono stati mal gestiti o rubati. Latte versato, inutile piangerci sopra.
Infine un flash-back. Questo è un Paese che aveva un campione nazionale, l’Enel, monopolista elettrico, e lo ha smembrato costringendolo a vendere la metà della sua capacità produttiva. Lo scopo era quello di liberalizzare il mercato elettrico. In realtà, gli economisti liberisti ispiratori di questa scelta sono stati degli asini talebani, innamorati delle proprie idee balzane, che non capiscono (o forse capiscono fin troppo bene, ma erano spinti da altri interessi) l’ovvio, cioè che non ha senso liberalizzare a valle la distribuzione e il commercio al dettaglio di beni che a monte nascono da mercati monopolistici od oligopolistici. L’energia italiana nasce in gran parte – cioè tolte le nostre fonti rinnovabili e quel po’ di metano indigeno – dalla combustione di petrolio Opec, gas russo e uranio francese. Non è un caso che la nostra politica estera ha sempre cercato di andare d’accordo con gli arabi, con i russi e con i francesi, come anche l’operazione Niger conferma. Ma se quelle tre fonti energetiche hanno prezzi rigidi, che senso ha liberalizzarne la distribuzione, rispetto ai prezzi finali? Nessun senso. Miracolosamente, e buon per noi, l’Enel è sopravvissuta ai vandali e si è ripresa all’estero gli spazi produttivi che le erano stati scippati in Italia, mentre in Italia è entrato in forze lo Stato francese, attraverso Edf (Edison) ed Engie. Una specie di “quattro cantoni” elettrico europeo, a somma zero.
Infine, una considerazione, che nasce da uno studio recentissimo sulla “innovazione energetica negli edifici in Italia”, realizzato dal Politecnico di Milano con l’Associazione comuni italiani e Ambrosetti e finanziato proprio da Engie. Ebbene, lo studio rivela che se solo si intervenisse a riqualificare energeticamente (cioè: isolare bene dalla temperatura esterna) il 20% delle abitazioni del centro e nord Italia, si otterrebbe un risparmio sulle bollette per le utenze energetiche di 2,5 miliardi di euro, minori emissioni di Co2 di ben 5,4 milioni di tonnellate all’anno (come togliere 2,7 milioni di auto dalle strade) un gettito fiscale di 4,8 miliardi tra Ires e Iva, lavoro per 130 mila persone in cinque anni e un volume d’affari di 29 miliardi per le imprese del settore.
Vi ricordate la campagna per la certificazione elettrica ed energetica, per cui oggi non si può più vendere o comprare una casa che non ne sia provvista? Ecco: è stata pura burocrazia, perché -proprio come per le revisioni obbligatorie delle auto – ha introdotto ritualità prive di sostanza, le certificazioni vengono date a spanne, ma i lavori di adeguamento sistematicamente dribblati. Quindi in Italia si spreca tantissima energia. Il territorio è un colabrodo di perdite. E intanto c’è il caro-bolletta.