Il rafforzamento dell’euro a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni di borsa del 2017 è un fatto non previsto. Fino a qualche settimana fa l’approvazione del piano di tagli fiscali del presidente americano era messa in relazione con un dollaro forte in conseguenza dei miglioramenti economici attesi per gli stimoli fiscali. Oggi è troppo presto per capire se questo trend è solo il prodotto di un mercato agli sgoccioli con pochi volumi e pochi operatori oppure se c’è qualcosa di più strutturale e il rafforzamento dell’euro continuerà.



È possibile che il mercato abbia cominciato a fare i conti con alcune conseguenze del piano annunciato da Trump. I tagli fiscali incideranno inevitabilmente sul deficit e sul debito americano facendoli salire. Sappiamo che gli americani non hanno mai preso in considerazione le politiche di austerity; la risposta alla crisi del 2008 in America è passata per un’esplosione del debito pubblico supportata dall’idea che era meglio mantenere l’economia in salute e poi, eventualmente, preoccuparsi del debito piuttosto che ucciderla subito senza nemmeno risolvere la questione del debito. L’austerity europea ha prodotto con certezza due conseguenze: la crisi economica e il contemporaneo peggioramento dei bilanci pubblici.



Il fatto che gli americani continuino su questa strada induce a pensare che la normalizzazione delle politiche monetarie sia meno prossima o molto più lenta di quanto si potesse credere. Più il debito pubblico sale meno è conveniente alzare i tassi e stringere le politiche monetarie. Questa può essere la chiave di lettura dell’indebolimento del dollaro degli ultimi giorni immediatamente successivo all’approvazione del piano Trump. Se così fosse non sarebbe un incidente di percorso del finale d’anno, ma un nuovo elemento anche per il 2018.

Questo fatto pone una sfida enorme alle politiche economiche dell’Unione europea. La Germania è riuscita a imporre all’Europa un’economia completamente basata sulle esportazioni, senza investimenti e domanda interna, La domanda interna è uccisa dall’austerity e gli investimenti pubblici rimangono ai minimi come accade persino in Germania con il suo surplus stellare. L’unico motore economico rimane l’esportazione. Perché questo motore funzioni serve un cambio artificialmente basso, l’euro che nasconde il marco, e serve che le politiche di austerity continuino abbassando artificialmente il costo del lavoro. Un tasso di piena occupazione come quello tedesco spingerebbe naturalmente al rialzo i salari, esattamente come gli investimenti pubblici e diminuirebbe però la competitività dei prodotti tedeschi. Avere una periferia in totale crisi economica e costretta a non fare investimenti aiuta le esportazioni tedesche nella misura in cui abbassa i suoi costi di produzione. A loro volta gli operai tedeschi sono messi in concorrenza con quelli italiani e polacchi.



Questo meccanismo è al servizio, politicamente, di un gigantesco trasferimento di sovranità da periferia a centro, con i tedeschi che sono più uguali degli italiani e degli spagnoli; le banche e le imprese tedesche vengono salvate con i soldi pubblici, ma quelle italiane no per via dell’austerity. Lo Stato tedesco mantiene la sua sovranità perché in questo meccanismo non è mai dalla parte di chi si trova costretto a rispettare le regole europee, per esempio quelle sul surplus con gli altri Paesi membri.

Il rafforzamento dell’euro, le politiche di stimolo americane mettono in crisi il cuore delle politiche economiche europee. La risposta a queste decisioni non dovrebbero essere le proteste che si sono sentite settimane fa, ma un’occasione per ripensare la politica economica europea e per rilanciare investimenti e domande interna. Se invece diventa il pretesto per un surplus di austerity e per la salvaguardia degli attuali equilibri di potere in Europa, allora tutti dovrebbero avere il coraggio di essere molto meno succubi di politiche che sono fallimentari per tutti gli europei e che stanno facendo a pezzi l’Europa alimentando i peggiori “populismi”.