Su media italiani il boom di fintech cerca e trova spazio fra gli echi disordinati della commissione d’inchiesta sulle banche. Non è sicuramente un bene per la democrazia: le porzioni secretate di sessioni sbrigative e un parterre di “narratori” finora bizzarramente assortito fra burocrati di secondo piano e magistrati si stanno dimostrando poco utili sia a una comprensione efficace su una grave crisi-Paese, sia al credito dell’istituzione parlamentare. I lavori della commissione Casini avrebbero dovuto togliere veleni al riassetto del sistema bancario, ne stanno invece aggiungendo alla campagna elettorale. E induce a riflettere che gli stessi media che hanno sempre riservato ampio risalto alle intercettazioni giudiziarie di ogni natura, ignorino ora le liste dei grandi debitori morosi filtrate da una commissione parlamentare con poteri inquirenti. In linea di paradosso – in ogni caso – può non essere privo di senso tenere i fari più accesi sulla trasformazione tecnologica ed economica del sistema finanziario che sui cumuli di macerie lasciati dalla crisi finanziaria e dalla recessione italiana.



Può essere utile tendere l’orecchio ad altre aule parlamentari; ad esempio quella della commissione Finanze in cui il vicedirettore generale di Bankitalia Flavio Panetta, la scorsa settimana, non ha parlato di Banca Etruria, né di crediti in sofferenza o di ennesimi duelli con la Bce, ma della redditività delle banche che stanno lottando per sopravvivere. “Nel prossimo decennio il 60% dei profitti correnti delle banche italiane è a rischio”, ha detto Panetta, che siede anche nel consiglio di supervisione della Bce. Il pericolo – questa volta – non proviene dalla finanza strutturata (pressocché scampato a cavallo del 2008) e neppure dalla mole di Npl che devono ancora essere ripuliti a caro prezzo nei bilanci. Non vengono dalle falle nella governance delle Popolari o – simmetricamente – nei sistemi di vigillanza che avrebbero dovuto prevenirne il crollo. Stanno venendo direttamente dal mercato, e riguardano il core business delle banche italiane: che hanno sempre avuto nelle transazioni di pagamento un segmento di servizio forte, anche nel generare margine.



Fintech, i nuovi servizi finanziari web offerti dagli operatori Over The Top stanno minacciando rapidamente il monte-commissioni su cui tuttora i gruppi italiani contano, gestendo bancomat e bonifici. È di un paio di settimane fa il debutto – ovviamente molto pubblicizzato – dei bonifici “superveloci” da parte delle banche italiane: l’accreditamento-lampo dei trasferimenti di denaro (“in 10 secondi”) costerà naturalmente all’utente più dell’invio di un bonifico ordinario. L’evento è stato accompagnato da un Salone dei Pagamenti durato tre giorni a Fieramilanocity con la sponsorizzazione dell’Abi e la presenza di Bankitalia: una kermesse che ha provato in tutti i modi a raccontare un sistema nazionale intenzionato a resistere competitivamente agli OTT, a non farsi sorpassare dalla loro avanzata nei servizi finanziari personali hi tech.



“Google Bank” o “Face-Bank” o “Apple Bank” non sono ormai più spettri o “barbari alle porte”: Pay with Google ha debuttato da poco, è già attivo anche Apple Pay Cash, mentre Facebook ha avviato un’alleanza con Paypal su Messenger. Difficile immaginare che gli OTT non riescano a ottenere quello che vogliono e che finora hanno sempre ottenuto: sconvolgere il mercato delle transazioni finanziarie con nuove applicazioni tendenzialmente gratuite. Due decenni fa hanno iniziato a offrire servizi di posta elettronica gratuita, poi servizi di social media gratuiti, servizi di e-commerce gratuiti, notizie gratuite oltre a intere biblioteche di contenuti video/musicali gratuiti, eccetera.

La gratuità formale nei confronti dell’utente viene in realtà ripagata con il tracciamento progressivo, che consente al gestore di rete di accumulare informazioni sempre più strategiche laddove sulla rete tendono a convergere quote crescenti della produzione e del marketing di beni e servizi. La sfida con le banche tradizionali (che a ora detengono un sostanziale patrimonio informativo sulla loro clientela) è appena cominciata e non è detto che l’esito sia una guerra senza quartiere: nel settore dei media OTT ed editori tradizionali (produttori di contenuti) stanno faticosamente trovando equilibri successivi. E gli stessi OTT stanno fronteggiando difficoltà crescenti nelle loro relazioni con gli Stati (non escluso il versante fiscale) mentre il terreno finanziario – ancora in convalescenza – resta presidiato da banche centrali e regolatori nazionali e internazionali. E questi ultimi, ad esempio, si stanno mostrando chiaramente diffidenti verso le nuove criptovalute: cioé verso cambiamenti “palingenetici” del sistema monetario e finanziario.

L’innovazione tecnologica tuttavia preme e finora sul mercato ha sempre avuto ragione: almeno in buona parte: l’intelligenza artificiale sta già permeando altri settori strategici della finanza, come la gestione del risparmio. Un Paese che ha ancora 300mila addetti nell’industria finanziaria e una ricchezza finanziaria delle famiglie in senso stretto a 3.300 miliardi non può non guardare avanti: soprattutto se i conti con il passato sono finiti in pasto ai talk show elettorali.