Fate un test, semplice: quali notizie vi sono rimaste più impresse del fine settimana appena trascorso? Ricordate in maniera più vivida la “svolta” nel Russiagate con il pentimento tardivo e a orologeria di Mike Flynn o il fatto che Donald Trump abbia portato a casa – ancorché parzialmente, visto che il voto del Senato va armonizzato con il testo della Camera – la più grande riforma fiscale da decenni? Piaccia o meno il tycoon, dal 2019 le aziende Usa pagheranno il 20% e non più il 35%: magari fallirà, ma è una rivoluzione. Di quelle vere. E invece, sono certo, ricorderete l’odore di impeachment che ha cominciato a propagarsi nell’aria, debitamente diffuso dai mezzi di informazione e dalle loro prime pagine. E la cosa è duplicemente grave, perché a distorsione mediatica segue apoteosi delle fake news, quelle che i quotidiani autorevoli e i leader di partito vogliono distruggere e che invece utilizzano a piene mani.



Occorre infatti avere accesso alle agenzie di stampa o a un buon microscopio da laboratorio per riuscire a leggere quanto segue: la Abc, l’emittente americana che per prima ha rivelato la confessione di Flynn riguardo il suo spergiuro all’Fbi per i contatti con i russi in campagna elettorale, ha sospeso per quattro settimane il giornalista Brian Ross per il “grave errore” commesso nello scoop proprio su Michael Flynn. La Abc, infatti, aveva inizialmente riportato che Flynn si preparava a testimoniare che Donald Trump gli avesse chiesto di contattare i russi da candidato, ma successivamente era stata costretta a correggere il tiro. E la notizia in sé: la richiesta era stata infatti avanzata da Trump presidente eletto, un dettaglio non da poco, visto che messa così la faccenda implicava rilievi penali per Donald Trump e una possibile messa in stato d’accusa, dopo essere stato debitamente grigliato dalla Commissione guidata da Robert Mueller. Peccato che invece i presunti contatti e le pressioni per aprire canali con funzionari russi siano stati avviati durante la cosiddetta lame duck session, ovvero il periodo di transizione fra un presidente uscente e quello entrante: di fatto, Donald Trump era già il commander-in-chief ed è prassi consolidata che durante quei giorni di vacatio a Pennsylvania Avenue, il nuovo staff prenda contatti con governi con cui poi dovrà collaborare. Quindi, tutto assolutamente legale.



Peccato che i titoli dei giornali e dei nostri telegiornali si siano scordati di sottolineare debitamente questo “dettaglio”. Un po’ come la riforma fiscale, d’altronde. E c’è di più. Perché in perfetta contemporanea con la “svolta” colpevolista sul Russiagate, proprio il capo della Commissione d’inchiesta, Robert Mueller, è stato obbligato a licenziare il suo investigatore più noto, capace e con maggior esperienza, Peter Strzok, perché beccato in pieno a inviare messaggi di testo anti-Trump dal suo telefonino, oltretutto indirizzati a una collega con cui ha una relazione extraconiugale. Notizie sui giornali? Zero. Peccato, perché sapere che all’interno della Commissione che potrebbe portare all’impeachment il presidente degli Usa era presente, con il rango di investigatore di punta, una persona visceralmente e politicamente avversa all’inquilino della Casa Bianca non pare cosa da poco. Bravo Mueller che lo ha cacciato, temo giocoforza e con riluttanza iniziale, ma resta il fatto che un dubbio sovviene: Strzok era l’unico con pregiudizi simili? Chi lo sa.



L’unica certezza è la versione massmediatica che abbia subito di queste vicenda: Trump sembra ormai fregato, all’angolo e il Russiagate qualcosa che abbia un costrutto e non la fake news che in realtà è. La riforma fiscale, successo politico del presidente anche all’interno del suo riottoso partito, passa in cavalleria e il mondo può continuare a campare di ideologia e balle. Ripeto: chi ci ha propinato questa versione del fatti stile ministero della Ddr sono gli stessi media che denunciano blog e chiunque sia fuori linea del politicamente corretto come propagatore di post-verità.

E in Italia? Sabato pomeriggio, parlando a un evento legato alle persone con disabilità, la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha detto che le prossime elezioni politiche in Italia sono a rischio proprio per le fake news. Quali? Ad esempio l’unica notizia che ci ricorderemo di questo weekend, visto l’abuso che ne hanno fatto, cioè lo scandalo per il carabiniere che ha attaccato al muro della sua stanza in una caserma di Firenze una bandiera “neonazista”? Perché così è stata definita dal giornalista che l’ha notata attraverso la finestra e così l’hanno definita tutti i media e i politici che hanno riportato l’accaduto. Peccato che fosse una bandiera prussiana, ancorché nell’Italia del tanto al chilo il Secondo Reich sia uguale al Terzo e Otto von Bismarck sodale e amicone di Adolf Hitler. Ovviamente lo stesso militare si sarà confuso e sono certo che in cuor suo quel vessillo dovesse avere connotati di estrema destra, di legge e ordine, ma dai media e dalla politica mi aspetto qualcosa di più che da un ragazzotto di vent’anni frustrato e un po’esaltato: perché continuare con le balle del neonazismo? Ora il milite verrà punito – non so per cosa, dubito esista il reato di apologia della Prussia -, ma resta il fatto che, oramai, qualsiasi cosa sia riconducibile alla Germania pre-1945 scatena riflessi pavloviani da campagna elettorale.

In compenso, forti di questa cortina fumogena, ecco che nessuno parla minimamente del Def, un qualcosina di più serio per le sorti del Paese rispetto a una bandiera della Prima guerra mondiale. O, magari, potrebbe essere interessante che chi di dovere perdesse qualche minuto del suo prezioso tempo per decodificare per bene le parole a freddo del presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, su La Stampa di ieri. Eccole: «Quando verranno sciolte le Camere, mi auguro che il governo Gentiloni resti in carica nella pienezza dei suoi poteri e possa varare finalmente la riforma del diritto fallimentare». Questo perché il numero uno dei banchieri lo ritiene «il rimedio migliore per smaltire gli Npl, i crediti deteriorati delle banche. Se i tempi della giustizia saranno più brevi è ovvio che recuperare un credito deteriorato sarà più facile. Va detto comunque che i nostri istituti hanno già ridotto di un quarto in otto mesi il peso degli Npl».

Dunque, in pieno bailamme di Commissione d’inchiesta sul sistema bancario e con la guerra in atto fra Pd e Bankitalia sul caso Etruria, ecco che il capo dei banchieri italiani spariglia le carte con un certo allarmismo e chiede un intervento diretto del governo, affinché si priorizzi e si blindi la riforma fallimentare: in caso contrario, chi scivolerebbe per primo sulla buccia di banana, fra i nostri istituti di credito? Non ci sarà in ballo l’aumento Carige da sostenere con l’ingresso nell’anno nuovo, quando – regole Bce alla mano – l’istituto ligure dovrebbe aver completato l’iter e essere pronto a camminare di nuovo sulle sue gambe, ancorché ancora un po’tremebonde proprio per il peso degli Npl? Perché il tema banche esplode solo per interesse politico legato alla campagna elettorale o quando gli aumenti di capitale sembrano a rischio e non lo si contestualizza nella realtà attuale? Ovvero, un governo che sul Def sta navigando a vista fra gli iceberg, il tutto in un contesto macro tutt’altro che da festeggiamenti e con l’Europa non certo ben disposta nei nostri confronti? Può, in un contesto simile e con il rischio dell’addendum ancora presente, Repubblica titolare ieri in buona fede con l’appello alla discesa in piazza anti-nazista di Walter Veltroni? Io capisco che il voto si stia avvicinando, ma anche la soglia del ridicolo è drammaticamente in traiettoria di impatto.

Ma tranquilli, tutto il mondo è Paese. Sapete infatti cosa ha garantito l’appeal mediatico al raid israeliano di sabato contro un’installazione militare vicino a Damasco, in Siria, presumibilmente iraniana? Un falso scoop della Bbc mandato in onda lo scorso novembre e riguardo i cui contenuti la stessa emittente britannica, da sempre simbolo di equidistanza e professionalità, avanzava forti dubbi, soprattutto rispetto alle immagini dei droni allegate. Bene, questa immagine sta facendo il giro del mondo da sabato e non solo in Israele, come giustificazione certa e certificata della bontà dell’azione dell’aeronautica di Tel Aviv per bloccare il pericoloso espansionismo militare di Teheran in Siria.

E sapete qual è il problema grave, al netto della propaganda bellica? Che giovedì, ovvero due giorni prima del raid in Siria, nientemeno che il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, avesse negato la stessa presenza militare iraniana nel Paese: «Al momento, siamo a conoscenza solo di advisers ed esperti presenti sul terreno. Non di forze militari di Teheran». Cos’hanno bombardato, allora, sabato? E chi lo sa, mica ve lo dicono. Occorre fidarsi della Bbc e dei suoi reportage pieni di dubbi. Non è forse l’inganno universale prefigurato da George Orwell?