Lo sapete cosa accade in montagna. Uno scoppio, un tuono e giù la valanga. Su Banca Etruria si è fatto e si fa lo stesso: si grida tonanti Boschi! Boschi! (evocando pure massoni e piduisti, purtroppo per loro solo omonimi) per far venire giù la valanga. Sfido tutti quelli che vi hanno scritto sopra a elencare i cognomi degli altri componenti del consiglio di amministrazione, e non solo di Banca Etruria. E sfido gli stessi, a partire da persone valide come Belpietro, a illustrare la differenza tra indagati e imputati, e tra atto dovuto come l’iscrizione nel registro apposito a fronte della segnalazione di un’autorità competente e imputato in quanto persona rinviata a giudizio a conclusione delle indagini su di lui.
Tant’è così va il mondo… E il risultato oscilla tra la pantomima di una commedia dell’arte e la successione di macchiette o di fotogrammi di un film commedia. E pur tuttavia, al di là delle responsabilità di Boschi padre, e della reazione di Maria Elena figlia (normale e iconica nel suo dispiacere, così come quasi stoica nel suo orgoglio di rappresentante pubblica sotto il tiro incrociato di centinaia di fake e di cattiverie nell’arco di due anni), mi sia permesso di scrivere che il caso di Banca Etruria, come di altre banche che hanno avuto percorsi similari, trova la sua origine in un passato normativo e istituzionale che una più attenta e coraggiosa gestione (alias impolitica) accompagnata da una capace moral suasion avrebbe potuto rendere migliore e meno insidioso per tutti.
Comprendere questo significa anche, per i giornalisti come per molti politici, scrivere meno pezzi strumentali, di colore quando non maleodoranti. Significa combattere l’ignoranza, la malizia e la manipolazione. Cerchiamo quindi l’acqua fresca e limpida della conoscenza, anche se poco gradita a coloro cui piace avvinazzare trattando materie d’interesse pubblico a proprio uso e consumo. E veniamo al quantum.
Dobbiamo sapere che esiste uno spartiacque rappresentato dal quadriennio 1994-1998 che con il TUB (Testo Unico Bancario) e con il TUIF o TUF (Testo Unico della Finanza) innovando, modifica abbastanza radicalmente lo scenario bancario e finanziario. Prima le obbligazioni erano perlopiù utilizzate come strumento di ricapitalizzazione a lungo termine. Dopo la liberalizzazione nell’emissione di obbligazioni da parte delle banche diviene fenomeno “tipico e comune” di raccolta di risparmio presso i risparmiatori che assumono la veste anche di investitori. La normativa di vigilanza prudenziale pone particolare attenzione alla normativa sulla trasparenza della sollecitazione all’investimento (d. lgs. n. 58/1998) che esonera le banche da taluni obblighi informativi, confermando che la raccolta obbligazionaria sarebbe attività tipica (ordinaria, ordinata e normale) della gestione bancaria, come accade per i certificati di deposito che tuttavia vengono messi fuori uso dalla riforma fiscale del 1996.
Il quadro però non è completo. Il Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUIF d. lgs. n.58/1998) semplifica, dettando un quadro più chiaro e semplice… ma sostanzialmente delegificato. Con il TUIF/TUF si persegue l’obiettivo della stabilità e della trasparenza dei soggetti che svolgono l’attività bancaria/finanziaria estesa (allora quasi tutte le reti di collocamento e le sim di riferimento appartenevano ai c.d. gruppi polifunzionali). Di conseguenza, e contrariamente da quanto emerge dalle direttive comunitarie (n. 93/22/CEE e n. 93/6/CEE), la tutela degli investitori sembra un traguardo meramente secondario e indiretto. Nel 2004 la stessa Direttiva 93/22 viene completamente innovata e sostituita dalla Mifid che renderà con forza ancora più stringenti le condizioni di tutela. Condizioni che il Parlamento recepirà con doveroso e congenito ritardo….
Il TUIF del 1998 è decisamente orientato verso il mercato, contrariamente al TUB che si sofferma sulla tutela dei soggetti finanziari e non pone la sua attenzione alla tutela del cliente. L’unico riferimento preciso alla tutela degli investitori è l’art. 5. In parte la formula di cui all’art. 5 del TUIF si riconnette all’art. 5 del TUB, ma non in modo organico. È una visione assente nella legge bancaria precedente, quella che il legislatore persegue cercando di sottoporre a un’unica disciplina tutte le forme di raccolta. Tuttavia, se è vero che la direzione del TUF va verso la tutela per i servizi di investimento, la disciplina degli interessi che fanno capo agli investitori diviene appannaggio e materia della normativa secondaria. Pertanto si affida il varo e la gamma degli strumenti di controllo della Consob.
Il collocamento di obbligazioni bancarie tocca il problema della cosiddetta “doppia vigilanza” da parte della Banca d’Italia e della Consob sull’attività delle imprese d’investimento e delle banche. L’art. 5, comma 2 e comma 3 del TUIF ne definisce l’ambito di operatività imponendo un coordinamento tra le due autorità di vigilanza (art. 5 comma 4 e comma 5 del TUIF), ma in concreto è difficile distinguere le specifiche aree di intervento. Solo con i crac di Cirio e Parmalat si inizia a reclamare un intervento in grado di ridisegnare confini e aree comuni… condominiali… in termini di ruoli, competenze e responsabilità nel controllo sul collocamento di strumenti finanziari (leggasi obbligazioni) da parte di emittenti, banche in prima linea. Anche Lehman Brothers era una banca.
Come vada esercitato questo ruolo in raccordo alla normativa preesistente, e quindi anche in raccordo con la Banca d’Italia, trova spiegazione nell’art.129 del d.lgs 285/1993. Questo articolo, pur presentandosi “laterale” nell’intero quadro disciplinato dai Testi Unici, in verità ha una centralità precipua perché mantiene la logica dell’autorizzazione preventiva che si basa sul controllo delle condizioni della società emittente e sul monitoraggio del mercato in termini di trasparenza degli strumenti finanziari non azionari e della stabilità dello stesso. Ma…. c’è sempre un ma come nei gialli migliori… pur in una certa continuità del principio di autorizzazione preventiva, ciò che prende sempre più piede è la liberalizzazione controllata del sistema.
Il d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 riforma il diritto societario e permette di ampliare la gamma degli strumenti finanziari che le società per azioni possono offrire ai loro investitori. Le obbligazioni condividono maggiormente il rischio, visto che si subordinano nel rimborso ad altri prestiti, e si può riconoscere loro un rendimento legato ai risultati d’impresa. La riforma societaria splittata in direzione bancaria e creditizia (vedi art. 2412 c.c.) fissa requisiti alquanto diversi rispetto al passato e offre al mercato un canale di finanziamento più ampio e maggiormente funzionale alla diversificazione dei portafogli del popolo dei Bot. La normativa bancaria, da un lato rendendone meno speciale i contenuti, dall’altro riducendone di fatto l’ambito di applicazione. Il processo di sostanziale despecializzazione del titolo obbligazionario è confermato dal fatto che, attualmente, l’emissione di obbligazioni è consentita a tutte le società bancarie.
L’art. 12 del TUB “nomina” gli strumenti attraverso cui le banche possono effettuare la raccolta di risparmio presso il pubblico, riconoscendone sostanzialmente tre tipologie: le obbligazioni convertibili e non convertibili, i titoli di deposito nominativi e al portatore, i prestiti subordinati, irredimibili e non, o rimborsabili previa autorizzazione della Banca d’Italia. Nel dare da una parte una più precisa indicazione degli strumenti finanziari, limita, al tempo stesso, dall’altro, il campo applicativo del potere normativo e di intervento degli organi di vigilanza. Nel citato articolo vengono riprese le espressioni e i contenuti già anticipati nell’art. 4, d. lgs. 481/1992 che, abrogando il quarto comma dell’art. 18 del d. lgs. n. 356/1990, riconosce a tutte le banche la “facoltà” di emettere obbligazioni, purché sia previsto nelle norme dello statuto. Non è richiesta una specifica previsione statutaria per l’emissione di prestiti obbligazionari da parte delle banche. Per questo si arriva a giustificare l’abolizione del vincolo statutario con la volontà di sottolineare la natura privatistica dell’atto. Ma la legge prescrive che la Banca d’Italia accerti che le modifiche introdotte allo statuto non contrastino con la sana e prudente gestione. È un tipo d’invasività che si può dire benvenuta anche se il suo limite salta subito in evidenza. Cosa accadeva infatti praticamente? Diversamente dal passato, quando più forte era l’orientamento all’autorizzazione preventiva? L’organo di vigilanza predisponeva una procedura semplificata per procedere alla modifica di quelle clausole statutarie, eventualmente in contrasto con l’emissione di obbligazioni.
Con il comma 3 dell’art 12 del TUB integrato alla riforma societaria del 2003 i prestiti obbligazionari bancari diventano oggetto da straordinaria a ordinaria gestione di strumenti di raccolta del risparmio fra il pubblico. La nuova riforma societaria prevede che l’emissione di obbligazioni sia deliberata dagli amministratori, salvo che la legge o lo statuto non dispongano diversamente. Spostando il centro deliberativo dell’emissione dall’assemblea straordinaria al consiglio di amministrazione viene snellita e semplificata l’attività sociale, permettendo a quest’ultimo di poter valutare prontamente l’opportunità e la necessità di ricorrere a questo particolare strumento di finanziamento. Agli altri organi societari viene mantenuta la loro specificità.
Qualche problema d’interrelazione anche tra i predetti organi societari (consiglio d’amministrazione, collegio sindacale, e società di revisione) in questo quadro, si manifesta con la relazione che intercorre tra la normativa speciale e regolamentare (TUB, Istruzioni di vigilanza) disciplinante le obbligazioni bancarie e la disciplina prevista dal TUIF (o TUF) e dalla normativa regolamentare della Consob concernente la sollecitazione all’investimento. Il Testo Unico rende la Consob garante della posizione del “sollecitato”, rendendola titolare in modo peculiare, di un potere regolamentare e di vigilanza molto esteso e invasivo. Pertanto la disciplina regolamentare dettata dalla stessa Consob assume una rilevanza notevole, ancorché sia ancorata, come fonte all’ art. 95 del TUF, dove si legge che “la Consob detta con regolamento disposizioni di attuazione del presente capo anche differenziate in relazione alle caratteristiche dei prodotti finanziari, degli emittenti e dei mercati”. Inoltre, lo svolgimento della sollecitazione all’investimento secondo le norme legislative e regolamentari è soggetto ai controlli esercitati dalla stessa Autorità. Si tratta, peraltro, sia di poteri esercitati sui soggetti coinvolti nell’operazione di sollecitazione (art. 94 TUF) sui prospetti informativi e regolamenti (art. 97 e 98 TUF) come pure di poteri interdettivi che pure l’ art. 99 TUF riconosce in capo all’ autorità di vigilanza sui mercati finanziari.
Come non coglierne la portata, in un quadro normativo che non smentisce l’assunto che di solito i controlli e autorizzazioni precedono? Come citato all’inizio di questo intervento fino alla geometria variabile “evoluta”. Cosa che di fatto accade: la Consob, nella comunicazione n. 87/11012, segnalava che l’art. 12 comma 3°, fosse semplicemente ispirato all’esigenza di evitare duplicazioni inutili nei controlli sulle modalità di raccolta del risparmio che avvengano “nelle forme tipiche dell’intermediazione creditizia, che sono quelle della raccolta del risparmio per esercizio del credito”. E il fatto che trattandosi di banche, di obbligazioni come strumento tanto di raccolta a deposito, quanto come forma temporanea di rafforzamento del capitale e di mercato regolamentato in condizioni di ormai consolidata esperienza ritrova ratio nell’ art. 100 comma 1°, lett. f ), che prevede l’esenzione già accolta dalla corrispondente disposizione previgente.
Alla disciplina legislativa occorre aggiungere quanto previsto in modo asintomatico nel regolamento n. 11791/99, all’art. 33. Disciplina l’inapplicabilità della normativa per le offerte in cui è richiesto un investimento unitario minimo non inferiore a 250.000 euro, finalizzate al reperimento di fondi per attività non lucrative, aventi a oggetto prodotti finanziari offerti in opzione ai soci di emittenti non aventi azioni o titoli obbligazionari convertibili in azioni o obbligazioni convertibili quotate o diffuse .
Pure per le offerte in opzione ai soci, di azioni e obbligazioni convertibili emesse da società, le cui azioni non risultano ammesse alla negoziazione in mercati regolamentati è previsto il “salto della quaglia” nella normativa. Questo ultimo aspetto è emerso nell’ambito dell’emissione realizzata da banche popolari, laddove nell’ipotesi di aumento di capitale in via ordinaria, in ragione della variabilità del capitale e delle particolari condizioni di ammissione, era stata esclusa la normativa sulla sollecitazione: un’interpretazione peregrina in quanto la legge non ha mai previsto espressamente alcuna norma esentiva, tale da escludere la sua applicazione. Ma così va il mondo. E quando non una, ma due authorities convergono nella sapienza interpretativa di norme in cui un legislatore ha riversato la sua… esiste non uno ma due concorsi di leggerezza. E si sa che nel nostro Paese, come insegna Boccaccio, la leggerezza è perdente, chiunque sia il colpevole di turno.
Certo però… Se papà Boschi, “alla luce della 231”, si fosse letto Vittorio Pinelli di Bankitalia (firmatario delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche 2011), ove non dissociato all’epoca, avrebbe l’obbligo del riconoscimento di una mancanza e/o di un errore. Tutt’altre cose di quella mirata strategia occulta e dannosa che vorrebbero far credere coloro che gli tirano pietre non tanto per il caso specifico della banca, bensì solo per il fatto di avere la figlia Maria Elena ancora al governo.
Vecchi e nuovi farisei si stracciano le vesti e non sanno nemmeno come si chiamano e che volto hanno coloro che nell’Etruria e nelle altre banche sono veramente coinvolti, perché solo una cosa contava e conterà ancora nel dibattito politico fino alle prossime elezioni… celebrare un secondo 4 dicembre!