Nonostante i telegiornali siano pieni di servizi e dichiarazioni relativi ai provvedimenti dell’amministrazione Trump in fatto di immigrazione, sono altre le parole che giungono da Oltreoceano che ci dovrebbero interessare. Per l’esattezza queste: «La Germania sta usando una valuta grandemente sottovalutata e sta sfruttando gli Usa e i suoi partner nell’Ue». A riferirle al Financial Times è stato il principale consulente economico e commerciale del presidente Usa, Peter Navarro, il quale ha anche fatto notare che «l’euro è di fatto un marco tedesco implicito, la cui bassa valutazione offre alla Germania un vantaggio su molti dei suoi partner principali. Berlino rappresenta uno degli ostacoli maggiori in vista di un accordo commerciale con l’Ue e anche per questo il Ttip è da considerarsi morto». Insomma, la guerra valutaria che vi annuncio da tempo, ormai è realtà: le parole di Navarro sono una chiara dichiarazione. 



E che tempi agitati attendano il Vecchio Continente lo conferma anche il dato reso noto ieri da Eurostat, in base al quale si è verificato un nuovo balzo in avanti dell’inflazione dell’area euro, che improvvisamente si ritrova a ridosso dei livelli obiettivo della Bce, implicito al programma di Qe. A gennaio la crescita media dei prezzi al consumo su base annua ha raggiunto l’1,8% nell’Unione valutaria, ma già a dicembre l’inflazione aveva mostrato una netta accelerazione all’1,1% dallo 0,6% di novembre. Di fatto, stando ai patti, Draghi dovrebbe cominciare con il tapering degli acquisti, visto che l’obiettivo era arrivare attorno ma sotto al 2%. In pratica, in tre mesi l’inflazione dell’area euro è triplicata. A segnare i maggiori incrementi è sempre la voce energia con un +8,1% a gennaio, mentre l’inflazione depurata da energia, alimentari, alcolici e tabacchi, ovvero quella core su cui la Bce focalizza maggiormente la sua analisi e la sua politica monetaria, è risultata invariata allo 0,9%. 



Ora, al netto che un risultato simile si prospetta come chiara fiammata inflazionistica tutta le legata al costo dell’energia e che l’obiettivo di stabilità dei prezzi della Bce prevede un’inflazione inferiore ma vicina al 2% ma non su un singolo mese, bensì sulla media di 18-24 mesi circa, il pressing di Berlino per un tapering sarà sempre più forte. Soprattutto dopo che l’America ha detto chiaro e tondo che la belle epoque dell’euro svalutato – si calcola un -20% sul dollaro – sta per finire. Tuttavia, il Prodotto interno lordo dell’eurozona, stando alla lettura preliminare, è salito dello 0,5% su base trimestrale e dell’1,8% su base annua nel quarto trimestre del 2016. Il dato è in linea al consenso degli economisti su base trimestrale, mentre è leggermente superiore all’1,7% anno su anno atteso dagli esperti a livello annuale. Infine, il tasso di disoccupazione dell’Eurozona è calato al 9,6% a dicembre rispetto al 9,7% di novembre, attestandosi sui minimi da maggio del 2009. Il dato è migliore del consenso degli economisti che si aspettavano una lettura al 9,8%. 



Insomma, l’inflazione sale ma la crescita europea non è certo stellare. Inoltre, l’aumento dell’inflazione è principalmente dovuto a un effetto della componente energetica che potrebbe spingere il dato per un altro paio di mesi, dopo di che si dovrebbe avere un calo durante il periodo estivo, soprattutto visto che l’inflazione core è stata deludente e questo difficilmente farà festeggiare Francoforte. Ma sui mercati giù qualcuno azzarda il fatto che l’insieme dei dati dipinga comunque un quadro in miglioramento per l’economia dell’eurozona e quindi le misure accomodanti della Bce non serviranno ancora a lungo. 

Quindi? In molti pensano che sia probabile che, se i dati continueranno a essere positivi, l’Eutower inizierà a discutere intorno a giugno come iniziare a ridurre gli stimoli dopo l’estate. Anche perché, al netto del dato generale, è proprio l’inflazione tedesca a non arrestare la sua corsa. Dopo il +1,7% messo a segno nel 2016, a gennaio l’indice dei prezzi al consumo in Germania ha registrato un aumento dell’1,9% tendenziale, l’incremento più alto dal luglio 2013, un rialzo lievemente inferiore al +2% atteso dagli economisti. E guarda caso, parlando del dato, il governatore della Banca di Austria e membro del direttorio della Bce Ewald Nowotny, durante un discorso a Vienna, ha affermato che l’Eurotower potrebbe iniziare a considerare l’opzione di un graduale spegnimento del Quantitative easing, ma solo dall’estate prossima: «Prima della fine del 2017 discuteremo su quello che succederà in futuro. Non sto dicendo che prenderemo una decisione, ma che in estate avremo migliori informazioni per prendere una decisione». 

E attenzione, perché in contemporanea con l’uscita del dato sull’inflazione, la Bce ha pubblicato il dato scomposto degli acquisti per categoria di assets e i due grafici a fondo pagina lo condensano al meglio, garantendo un’arma letale nelle mani dei falchi tedeschi e del Nord Europa. Come vedete dal primo grafico, di fatto la Bce sta proseguendo con quella che è niente più e niente meno che una nazionalizzazione del debito corporate europeo. In totale, l’Eurotower ha acquistato 810 emissioni obbligazionarie per un controvalore di 573 miliardi di euro di outstanding e nella settimana del 27 gennaio, il totale dei bond acquistati era a 1,9 miliardi tra tutti i settori. A oggi, le detenzioni corporate della Bce sono a un totale di 58,82 miliardi di euro, il che significa che la Banca centrale europea oggi detiene il 10,2% di tutto il debito corporate europeo, un mercato da 575,42 miliardi. Fino al mese scorso, la Bce deteneva il 9,2% del mercato obbligazionario corporate e il 6,4% delle securities detenute dalla Bce, 52 su 813, ha rendimento negativo. 

E chi ha beneficiato di questo? Un po’ tutti, come sempre. La scorsa settimana, in particolar modo, Atlantia, Basf, Carmila, Enel, Fresenius, Italgas, Leg Immobilien, Linde, Legrand, Rte, Snam e Telefonica Emisiones. E poi il secondo dato che conta: il bilancio della Bce oggi è a 3,72 triliardi di euro, il 36% del Pil dell’eurozona. Sapendo che la guerra con Washington sta per cominciare, Berlino potrà permettere che un trend del genere possa proseguire? Io ne dubito. Il problema è che le conseguenze primarie le pagheranno Stati molti indebitati e con inflazione ancora bassa come noi, la Spagna, il Portogallo e la Grecia, le cui aziende non avranno più una fonte primaria e certa di finanziamento a costo zero nella Bce, ma dovranno o emettere sul free market, con costi molto più alti e aste non sempre piene, o rivolgersi al sistema bancario, non esattamente in forma smagliante e desideroso di erogare credito, al netto del problema sempre più incombente dei non-performing loans

E se lo spread sale, ma sempre con gli acquisti della Bce pronti a rispedirlo indietro, qualcosa sembra ormai sconnesso a livello europeo, c’è aria di resa dei conti, di tutti contro tutti. Se l’Ue dovesse aprire nei nostri confronti una procedura di infrazione per eccesso di deficit, in caso Roma non accetti di dar vita a una manovra correttiva, allora i guai potrebbero farsi seri. E qualcuno non aspetta altro.