La proposta è tornata a galla la scorsa settimana, ma non è certo nuova: avere un’Europa a più velocità. Questa sembra essere l’idea per rispondere alle sfide che il Vecchio continente si trova di fronte, in particolare dopo l’elezione di Donald Trump. E l’Italia, secondo quanto ci spiega l’economista ed ex ministro delle Finanze Francesco Forte, potrebbe guadagnarci.



Professore, cosa ne pensa di questa proposta di Europa a due o più velocità?

Di fatto si tratta di ritornare allo Sme (Sistema monetario europeo), che abbiamo già avuto tra gli anni ‘80-90. L’idea dello schema è semplice: il primo gruppo è formato da paesi con un cambio fisso tra loro; nel secondo gruppo i paesi potrebbero scegliere se avere tutti un cambio fisso o se riservare per alcuni di loro (o tutti) un margine di fluttuazione più ampio. L’Europa a due velocità è resa necessaria dal fatto che il primo gruppo, quello dei paesi “virtuosi”, non vuole la stabilità monetaria, ma la deflazione monetaria. La deflazione però vuole dire danneggiare il debitore contro il creditore. Dunque se abbiamo due gruppi con diverse preferenze non riusciamo ad avere un’unica moneta.



Vuol dire allora che l’euro è destinato a sparire?

No, tutto questo non implica il fatto che non ci sia l’euro. Anche perché all’epoca dello Sme esisteva l’Ecu (Unità di conto europea), che era esattamente come l’euro, una moneta unica, che si usava negli scambi tra operatori finanziari. La Bce continuerà poi a esistere, sopra le due aree monetarie. Di fatto si avrebbe un sistema flessibile, concordato, dove poi ognuno si aggiusterà la politica fiscale per proprio conto. Anche l’Unione bancaria si dividerebbe in due gruppi, sempre coordinati. Mettere insieme due cose diverse non regge, ma le unioni si possono fare anche tra persone con gusti diversi. Basta sapere che un conto è sposarsi, un altro è essere amici.



La Banca centrale europea dovrebbe cambiare?

Sicuramente dovrà poter contare su una maggior indipendenza. Non che Draghi oggi non ci creda, ma il problema sono i tedeschi, che hanno una mentalità mercantilista: per loro la moneta è stata sempre manovrabile, per cui la banca centrale è soggetta ai desideri politici. Uno dei problemi attuali è che è vero che c’è un’autorità monetaria indipendente, però alla fine sono le scelte politiche a determinare la sua linea. E oggi in Europa sembra che la regola prevalga sul buon senso.

Lo Sme non evoca però dei ricordi positivi per l’Italia, vista anche la crisi della lira che c’è stata…

L’Italia aveva dei problemi di cui la lira era solo l’espressione finale. C’erano movimenti comunisti che aspiravano al collettivismo, gli scioperi di massa, il problema delle Br. La classe politica era costretta a fare gli errori perché condizionata da una sinistra disposta in parte a sparare, in parte a urlare, in parte a fare scioperi come quello contro la Fiat. Era un’epoca particolare.

Oggi quindi l’Italia avrebbe da guadagnarci da un sistema simile?

Sì, perché il sistema stesso potrebbe anche funzionare meglio. Tuttavia richiede che ciascuno diventi ancora più credibile. Quando uno Stato è libero di scegliere, viene giudicato dai mercati per quello che fa. Se noi continuassimo, come fa Padoan, a pretendere che il debito pubblico sparisca per magia non andremmo lontano.

 

E cosa dovremmo fare allora in questo caso?

L’idea tedesca per cui il debito pubblico debba diminuire di una percentuale fissa ogni anno è paranoica. Sarebbe sufficiente avere uno schema di bilancio con deficit basso che consenta di far sì che il debito pubblico, sia pure di una percentuale modesta, ogni anno tenda a scendere. Questo sarebbe in grado di tenere calmi i mercati. Non si potrebbero però fare i discorsi alla Renzi per cui i decimali non sono importanti, perché anche lo 0,2% può fare la differenza. Essere liberi vuol dire essere responsabili, non fare quello che ci pare. Saremmo quindi giudicati dagli investitori per quello che decideremo di fare, non in base a quello che piace alla Merkel.

 

(Lorenzo Torrisi)

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