«In genere non commento i contenuti di questi incontri. È sempre interessante parlare con il presidente Draghi». Così la cancelliera tedesca, Angela Merkel, in conferenza stampa dopo un incontro con i rappresentanti dei Laender, alla domanda sul tenore dell’incontro avuto giovedì con il numero uno della Bce. Poi, la strana capriola: «Vorrei però sgombrare il campo su un equivoco sorto sull’Europa a diverse velocità. Esiste già, per me è già ora così perché, ad esempio, non tutti i Paesi della comunità europea aderiscono all’euro, alcuni ce l’hanno altri no. Ma non è vero che ho parlato di velocità diverse riguardo all’Eurozona, anzi l’area dell’euro deve essere coesa e continuare a sostenere tutti i progetti varati assieme come il fondo salva-Stati. Su questo punto ci deve essere chiarezza. Invece si può, all’interno della Ue, avere dei settori dove può esistere una cooperazione rafforzata, come ha proposto di recente la Danimarca sulla giustizia. Tuttavia, questi progetti devono essere aperti a tutti, deve essere avanzata una proposta e un’offerta aperta a tutti, non è fattibile che tre Stati si siedano assieme, decidano e vadano avanti da soli, lasciando gli altri fuori».
Detta così, la polemica pare smontata: nessuna Europa a due velocità monetarie, nessuna Ue di serie A e di serie B, nessun euro forte – di fatto un nuovo marco tedesco – per l’Europa del Nord e un euro svalutato per quella mediterranea, nessun prodromo di spaccatura dell’Ue. Sarà, ma ci sono dei segnali che, a mio avviso, smentiscono la precisazione della Merkel, casualmente arrivata dopo un incontro con Mario Draghi, il quale sicuramente ha sollecitato quella dichiarazione al fine di calmare le turbolenze già presenti sui mercati, soprattutto per la stabilità politica di Italia e Francia.
Il segnale più grande è arrivato, ironia della sorte, in perfetta contemporanea con la conferenza stampa della Merkel ed è arrivato proprio dalla Germania, più precisamente dalla Bundesbank. La quale, presentando il bollettino ufficiale di aggiornamento, ha reso pubblici i dati relativi al rimpatrio del proprio oro dalle sedi di stoccaggio estero: stando al comunicato, «nel 2016 la Bundesbank ha continuato con successo il rimpatrio del proprio oro e nell’arco dello scorso anno ha riportato a Francoforte 216 tonnellate di metallo prezioso stoccate all’estero, 111 tonnellate da New York e 105 da Parigi». Questo dato trasforma il 2016 nell’anno con il più rapido livello di rimpatrio di sempre, visto che il record precedente erano le 210 tonnellate del 2015: in totale la Bundesbank ha già rimpatriato 583 tonnellate d’oro, l’86% delle 674 programmate in totale. Ma cosa fa davvero impressione? Il fatto che al 31 dicembre scorso la Banca centrale tedesca aveva completato il rimpatrio programmato del suo oro dalla Fed di New York per un totale di 300 tonnellate: il tutto con tre anni di anticipo rispetto ai piani. Perché tanta fretta? Perché questa accelerazione?
Carl-Ludwig Thiele, membro del board esecutivo della Bundesbank, ha confermato il dato: «Il trasferimento dell’oro da New York è stato concluso con successo lo scorso anno e tutto si è svolto senza alcuna irregolarità o difficoltà. Il piano di stoccaggio per New York, il quale prevedeva il trasferimento di 300 tonnellate d’oro dalla città statunitense a Francoforte, è stato realizzato in pieno nel 2016». La Bundesbank ha anche confermato che il rimpatrio delle sue riserve auree «è considerevolmente in anticipo rispetto alla tabella di marcia originale» e Thiele ha aggiunto che «saremo in grado di completare anche il trasferimento dell’oro stoccato a Parigi entro l’anno in corso». Considerando che alla Banque de France rimangono stoccate solo 91 tonnellate d’oro tedesco e visto il ritmo dei trasferimenti avvenuti nel 2015 e 2016, la cosa potrebbe completarsi entro l’estate.
In sommario, alla fine del 2016 la Bundesbank aveva rimpatriato già il 47,9% delle suo oro, solo il 2,1% in meno del 50% programmato: il 36,6% dalla Fed di New York, il 12,8% dalla Bank of England e il 2,7% dalla Banque de France. Resta il dato: perché rimpatriare così in fretta quell’oro, addirittura tre anni in anticipo rispetto alla scadenza programmata del 2020? Paura che una possibile, nuova crisi finanziaria porti a una richiesta di oro fisico e che le riserve possano essere inglobate nel mercato globale per far fronte a quegli ordini di consegna? Oppure ci si porta avanti con l’idea di una frantumazione o rimodulazione della zona euro, avendo le riserve fisiche d’oro come garanzia per la nuova moneta? Mistero. E nessuno fa domande, giustamente, visto che è nel pieno diritto della Bundesbank di disporre del proprio oro come meglio crede.
Non sarà un insieme delle due cose? Cerco di spiegarmi. Gli ultimi dati macro, tra cui molti indici Pmi, hanno mostrato massimi che non si vedevano da anni, quasi un boom per la crescita globale. In molti hanno giustificato questo entusiasmo con l’attesa per la Trumpnomics, ovvero le misure di stimolo dell’economia annunciate dal nuovo inquilino della Casa Bianca e che hanno già portato a un’impennata delle aspettative inflazionistiche Usa: gli analisti più scaltri, però, si fanno un’altra domanda, ovvero quando o se quella crescita andrà in roll-over. Seguendo questo ragionamento hanno scoperto qualcosa di interessante, come ci mostrano i due grafici a fondo pagina.
Primo, la ragione dell’ottimismo sta tutta nel fatto che all’inizio del 2016 la Cina si è imbarcata nella sua ultima manovra di stimolo fiscale finanziata dalle vendite di terreni da parte dei governi locali e dal boom del mercato immobiliare. Il ciclo di business cinese ha stentato all’inizio, ma poi, come mostra il primo grafico, ha accelerato rapidamente. Il secondo grafico ci mostra invece quale sia il sincro tra l’economia cinese e quella tedesca, alla faccia della spesa interna per investimenti: ci mostra, infatti, come l’export tedesco verso Est abbia toccato i massimi da anni. Gli Usa e il resto del G-7 hanno beneficiato di questa politica cinese con circa sei mesi di ritardo: insomma, i buoni dati macro che stiamo registrando sono molto facilmente frutto delle decisioni di Pechino di 12 mesi fa e non delle speranze per le politiche Usa.
C’è però un guaio: questa dinamica rende il dato più debole del previsto del PMI cinese, sia ufficiale che Caixin, della scorsa settimana una preoccupazione: le vendite di terreni, che hanno tenuto in vita molti indicatori di crescita cinesi per gli ultimi sei mesi, stanno già calando significativamente. E le politiche di Pechino sono già oggi abbastanza costrette e limitate dalla necessità di prevenire il persistere di fughe di capitali dal Paese, un qualcosa che spiega le politiche di contrazione delle ultime due settimane: nonostante questo, il dato sugli outflows monetari di gennaio è rimasto decisamente robusto.
Qual è il rischio? Se la Cina comincia a rallentare ancora, l’attuale clima favorevole per l’economia avrà una data di scadenza a breve, soprattutto alla luce dei prezzi del petrolio in aumento e anche del fatto che ogni eventuale stimolo messo in campo da Trump avrà bisogno di almeno qualche trimestre prima di farsi sentire nell’economia e nella crescita Usa. Certo, il fattore emotivo gioca molto sul mercato, quindi potrebbe innescarsi un sentimento auto-alimentante che veda la fiducia in Trump superare qualsiasi preoccupazione per un eventuale rallentamento cinese, ma occorre valutare con attenzione tutte le mosse, soprattutto quelle nascoste e, a prima vista, innocue. Il fatto che la Bundesbank abbia avuto tutta questa fretta nel rimpatriare il suo oro sono sicuro che ha un senso e anche importante: anticipare di tre mesi è un fatto, di tre anni un altro.
Attenzione. Soprattutto ora che Giacomo Draghi, figlio del governatore della Bce, è in procinto di lasciare dopo 13 anni Morgan Stanley per accasarsi alla Lmr Partners, un hedge fund con sede a Londra e Hong Kong che gestisce assets per 2,5 miliardi di dollari. E di cosa si occuperà? Strumenti derivati in euro e franchi svizzeri. Accidenti, un bel conflitto di interessi, visto che i destini dell’euro li decide il padre! Solo se il padre sarà ancora a capo della Bce, se invece entrasse in pompa magna a palazzo Chigi e l’Eurotower tornasse sotto controllo tedesco nel 2018… O prima, magari.