“Corriere della sera” e “Repubblica”, ieri, non avevano una riga sui dossier bancari sul tavolo: l’aumento di capitale (cioè il probabile riassetto proprietario) di UniCredit; l’ipotesi di aggregazione fra Intesa Sanpaolo e Generali; tempi e modi della messa in sicurezza di Mps; la crisi emergente di Atlante, il fondo di salvataggio di Popolare di Vicenza e Veneto Banca (e la lista non è completa). Non c’erano notizie da registrare fra una settimana e l’altra? Forse no: ma il fatto che non ci fossero novità è di per se stesso una (cattiva) novità, Tanto che “Il Sole 24 Ore” ha deciso di puntare, nel numero domenicale, su una specifica novità connessa: il calo aggregato dei depositi (65 miliardi) evidente nei conti 2016 delle banche più esposte alle turbolenze. Una “pre-verità”, un dato scontato e prevedibile: ma non per questo meno preoccupante. All’inizio del 2017 il sistema creditizio italiano resta in forte difficoltà e la politica cretizia latita, mentre la vigilanza della Bce continua a premere.
La questione bancaria italiana è entrata nel suo ennesimo “tempo supplementare”, ma la squadra è decimata da espulsioni, ammonizioni, infortuni, basso stato di forma. Se guardiamo alla situazione della nazionale bancaria italiana in chiave di eurozona “a due gironi”, le chance di ammissione alla lega d’eccellenza sono minime. Pesano soprattutto gli sviluppi degli ultimi 18 mesi: sui bilanci 2016 ormai per gran parte approvati, spiccano le perdite straordinarie legate alle quattro risoluzioni del novembre 2015 (Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti) e al fondo Atlante, creato appena nove mesi fa. Il tentativo di pilotaggio dei dissesti è stato ovunque un insuccesso ed è culminato con il fallimento del sforzo di salvare sul mercato il Montepaschi.
I costi per tenere in vita i circuiti intermediari sono stati elevatissimi e lo stato di salute del settore è peggiorato. Tre delle quattro banche risolte quattordici mesi fa sono state agganciate a Ubi, che però chiede una nuova dote e dovrà ricapitalizzare. Vicenza e Veneto hanno già bruciato i 2,5 miliardi raccolti da Atlante fra banche, fondazioni, assicurazioni, Cdp, ma probabilmente servirà un raddoppio abbondante dei capitali freschi. Il Montepaschi è un pozzo che andrà interrato di miliardi statali, ma quanto profondo sia nessuno è ancora in grado di dire: 5 miliardi come inizialmente ipotizzava il governo italiano? Otto, come ha poi ventilato la Bce? Di più ancora?
Possono non aver torto, per paradosso, i media nazionali a spegnere le luci sul sistema bancario “caso per caso”. Una ripartenza di metodo, da zero o quasi, sarebbe effettivamente opportuna, se non indispensabile: almeno prima che la crisi bancaria italiana diventi – definitivamente – un caso particolare della ricostruzione dell’eurozona. Nel frattempo – a caso Mps ancora da gestire – non sarebbe male fissare qualche punto fermo.
Per esempio: una banca “fallita” non va “salvata” a spese del contribuente (per via diretta o indiretta attraverso le altre banche). Se per banche in dissesto c’è interesse di operatori esteri di mercato, è inutile alzare barricate nazionaliste, bruciandovi risorse inutili. Idem se una banca che verrà ricapitalizzata in misura sostanziale da investitori esteri, di mercato o strategici, è meglio utilizzarla come leva di integrazione con la futura eurozona che trattenere la sua debolezza nella debolezza complessiva del sistema-Paese. Non da ultimo: se esistono residue condizioni per operazioni-Paese, il governo faccia valere un “sovranismo” concreto – anti-populista – e ne promuova la realizzazione.