Sulla vicenda Alitalia sono piovuti commenti, conditi da analisi e di dati, sulla possibilità che lo Stato intervenga di nuovo in aiuto dell’ex Compagnia di bandiera, dipingendo la manovra a tinte fosche, ricordando il passato, cosa peraltro condivisibilissima. Giova ricordare ai detrattori un paio di cose, pur nel rispetto delle opinioni.
Lo Stato finora ha solamente dilapidato enormi capitali in Alitalia, e su questo non ci piove, ma il tutto è passato attraverso la mancanza di un progetto credibile o con finanze pubbliche messe a disposizione di, mi si permetta, dilettanti allo sbaraglio o se preferite persone che, senza avere la minima preparazione o cultura del settore, hanno puntato decisamente su tutto l’opposto di quello che si doveva fare nel settore.
Come, e peggio che nel 1997, bisogna mettersi in testa che, se un’economia di un Paese vuole progredire, i trasporti sono uno strumento essenziale nei quali lo Stato, lungi dal gestirlo direttamente, deve intervenire per garantire il fattore mobilità. In poche parole creare finalmente un Sistema Paese che operi seriamente per lo sviluppo, con una collaborazione integrata di vari settori dell’economia in cui lo Stato faccia da arbitro, anche perché il rischio è che l’italianità scompaia per sempre. Soprattutto dentro un’Unione europea nella quale è ormai lapalissiano che siamo parte dell’anello debole della catena, anche per colpe nostre. Un’Unione che già nel 1997 mise il becco nel trasporto aereo impedendo, cosa successa in altri Paesi Ue, che l’hub diventasse l’aeroporto di riferimento di Milano a scapito di uno cittadino che invece si era trasformato nella porta per alimentare hub di altre città europee.
Il mercato… già, il mercato: lì si dimostrò una cosa che si è ripetuta in vari campi economici: tutti sono bravissimi a parlare di libertà commerciali e mercato… tranne ovviamente che in casa propria. L’italica capacità di mettere interessi provinciali e comunali davanti a quelli nazionali già nel 1998 ci portò al disastro dell’intelligente fusione tra Alitalia e Klm e alla sparizione di Malpensa come hub, tenuto in vita per scellerate politiche partitiche.
La malattia è continuata poi con il fenomeno low cost, legato soprattutto all’incredibile sviluppo di Ryanair nel nostro Paese: tutti a gridare (giustamente) allo sperpero di denaro pubblico tot court per la compagnia di bandiera, ma poi tutti a pagare denaro pubblico per far operare un vettore che a quel punto, anche per “sviste” erariali e di leggi sul lavoro, poteva permettersi tariffe bassissime, tanto il volo lo paga la Regione o la Provincia (ergo noi…) attraverso le società di gestione aeroportuali.
Questo è il mercato? E allora si inizi a costruirlo badando agli interessi nazionali una buona volta, a sviluppare un settore, quello dei trasporti, direttamente connesso con quello che rischia di rimanere, per la sua unicità, uno dei pochi settori in grado di competere a livello internazionale: il turismo. E qui entra in gioco il ruolo dello Stato in Alitalia: mettere capitali, sì, ma per creare una vera compagnia aerea gestita professionalmente e che sia, nell’ambito di regolamentazioni comuni a tutti gli eventuali competitors, uno strumento utile a un sistema Paese che ha bisogno di crescere ma non può farlo in mancanza di regole e di progetti.
Siamo storicamente un popolo avvezzo a fare tutto all’ultimo momento… con i “miracoli”. Vediamo di farne uno attraverso l’orgoglio nazionale, ma senza ricorrere a patrioti o pensare a benefattori internazionali, per carità! Le capacità le abbiamo: basta solo che ognuno faccia veramente il dovere che gli compete in stretta collaborazione con gli altri.