Aumentano sempre di più gli euroscettici che prospettano migliori condizioni nel caso di un ritorno alle monete nazionali. Inizia infatti a prendere sempre più corpo in Europa un movimento di partiti, così come milioni di persone, che propende per l’abbandono dell’Euro, la moneta unica entrata in vigore nel 2002. Secondo l’analisi di Roberto Sommella per il Corriere della Sera, l’Euro dopo 15 anni, sarebbe vittima di assenza di decisioni di politica monetaria: nessun paese assume decisioni di politica monetaria e nessun paese emette debito comune. Nella stessa Germania, il paese che ha guadagnato di più dall’Euro, starebbero nascendo dubbi sull’opportunità di restare nella moneta unica. Tra gli elementi che hanno fatto crescere il sentimento euroscettico c’è l’analisi del World Economic Forum sulla globalizzazione. Le risposte dei paesi riguardo ai miglioramenti delle condizioni di vita sono state infatti in maggioranza negative. Solo i cinesi (45%) e gli indonesiani (23%) hanno risposto di stare meglio mentre negli Usa (65%), in Gran Bretagna (65%), in Germania (59%), in Francia (81%), a Hong Kong (71%) e negli Emirati Arabi Uniti (60%), i cittadini hanno dichiarato in maggioranza di stare peggio perché si sentono più precari di prima.
In Italia il giudizio sull’Europa e sull’Euro è anche legato ai prezzi dei maggiori prodotti di largo consumo. Se si confrontano quelli del 2002 con quelli del 2016, tolta l’ inflazione con i coefficienti Istat, si scopre che un chilo di spaghetti è aumentato del 47%, un chilo di riso del 58%, sei uova del 47%, fino ad arrivare alle patate che hanno fatto registrare un incremento dell’80%. La perdita di potere d’ acquisto è legata al cambio sfavorevole dell’Euro, 1936,27 lire per un euro, all’arrotondamento prima dell’entrata in vigore della moneta unica e ai controlli elusi durante il periodo di doppia circolazione e conseguente speculazione. Per quanto riguarda il Pil in Italia, a fine 2002, anno appunto di nascita dell’Euro, crebbe dello 0,9%, così come è accaduto a fine 2016 e in pochi anni, tra il 2004 e il 2007, è stato registrato sopra l’ 1%. Invece il debito pubblico in termini assoluti dal 2001 è cresciuto di circa 500 miliardi di euro e dal 108% del Pil è ora arrivato oltre il 133%. E la disoccupazione è passata dall’ 8,8% di fine dicembre 2001 all’ 11,9% di dicembre 2016. Dunque anche per l’Italia sarebbe meglio, secondo alcuni analisti, uscire dall’Euro per riconquistare la penetrazione sui mercati e il potere d’ acquisto perso.