Il buon esito del maxi-aumento di capitale UniCredit (13 miliardi, sottoscritti al 99,8%) è più di una buona notizia: anzitutto perché non era scontata (non a caso attorno all’operazione era stata approntatato un gigantesco consorzio di garanzia). La maggiore banca italiana si è rivolta al mercato per la quarta volta in otto anni e ha chiesto mezzi pari a quattro volte quelli che il Tesoro italiano sta faticosamente racimolando entro aprile per la “manovrina” chiesta dalla Ue. Per la quarta volta i soci stabili e gli investitori istituzionali hanno dato fiducia a piazza Gae Aulenti; nonostante la pesantissima pulizia di bilancio 2016 (perdita netta di 11,8 miliardi) operata alla vigilia della ricapitalizzazione. È un atto di fiducia espresso essenzialmente nei confronti di un manager francese come il nuovo Ceo Jean Pierre Mustier, pur con un lungo curriculum in UniCredit. Tuttavia non è fuori luogo o eccessivo qualificare gran parte dei capitali raccolti come “investimento estero in Italia”.
L’abbattimento delle sofferenze creditizie (Npl) – cedute in blocco a prezzo molto basso a due grandi operatori globali come Fortress e Pimco – ha sostanziato il primo “effetto collaterale” (e la prima “lezione”) della svolta UniCredit. La bolla dei “cattivi crediti” – e nel sistema bancario italiano se ne sono accumulati 360 miliardi lordi – non può essere curata sgonfiandola lentamente: UniCredit l’ha eliminata in un colpo soffrendone tutte le conseguenze nei conti (e facendole soffrire agli azionisti), ricreando tuttavia le premesse di credibilità sui mercati per avviare un turnaround. Lo smaltimento degli Npl era stato d’altronde preceduto dalla vendita dell’asset manager Pioneer e della polacca Bank Pekao. E ai vecchi soci è stato offerto un prezzo di re-investimento molto conveniente (38% di sconto sul cosiddetto Terp).
Sotto questo profilo il caso UniCredit – affrontato sul mercato – si conferma definitivamente come l’antitesi dei recenti tentativi di salvataggio para-pubblico di Mps e Popolari venete (Atlante). Tentativi diversamente falliti – che imporranno ora interventi statali pesanti sia sul piano finanziario che sul versante dei rapporti con la Ue – per la mancata adozione del “modello UniCredit”: 1) per la pretesa di gestire ricapitalizzazioni impegnative e riciclo graduale Npl con una “colletta” costosa e inefficace fra banche, assicurazioni, Fondazioni e Cdp; 2) per il tardivo o mancato ricambio del top management con mandato pieno; 3) per l’incertezza sulla necessità di saldare in fretta tutti conti con il passato per rilanciare la banca (e gli azionisti hanno comunque perso tutto: a Siena, a Vicenza, a Montebelluna).
La debolezza complessiva del sistema-Italia – soprattutto dopo il 2011 – è stata certamente decisiva nel far declinare un “campione italiano” che a lungo aveva primeggiato nell’eurozona. E quando – fra qualche giorno – sarà nota la nuova “geografia” dei grandi azionisti di UniCredit è assai probabile che piazza Gae Aulenti si ritrovi ancor meno italiana di quanto non fosse già.
Un amministratore delegato francese al timone di un gruppo controllato da grandi fondi internazionali (le Fondazioni italiane si sono diluite al 4,5% e non è prevedibile a quanto gruppi privati italiani come Caltagirone e Del Vecchio attesteranno quote che erano già minori). È un fatto prima che un giudizio: e non sarà certamente facile distinguere fra la metà piena del bicchiere (la stabilizzazione sul mercato di una grande banca italiana, con molti dipendenti e molto credito erogato nella penisola) e la metà vuota (la sostanziale internazionalizzazione di proprietà e governance di quella che era già comunque l’unica banca globalmente “sistemica” dell’Azienda-Italia).
Mercoledì sera Mustier è stato ricevuto dal premier Paolo Gentiloni: è probabile che abbia fornito rassicurazioni sull'”italianità” di UniCredit e dei suoi orientamenti su vari scacchieri nazionali (primo fra tutti Mediobanca-Generali, ma anche Vivendi-Mediaset). È prevedibile che a palazzo Chigi il Ceo di UniCredit abbia dato le garanzie di principio: ma è altrettanto vero che – dopo il successo nell’aumento – avrà un po’ meno bisogno dei placet di un governo assai più in mezzo al guado di UniCredit. Sbaglierebbe anche chi pensasse che Mustier rimanga sotto la pressione incrociata delle ultime settimane: da parte di Mediobanca per difendere le Generali dalla avances di Intesa Sanpaolo; o – viceversa – da parte di tutti i soggetti interessati a risolvere la partita Generali con la vendita a Intesa del pacchetto UniCredit in Mediobanca.