Finalmente il decreto cosiddetto “salva-risparmio” è diventato legge e i 20 miliardi promessi sono ora a disposizione. Esulta il governo, con un tweet del Primo Ministro Gentiloni, il quale si vanta per aver fatto “un passo avanti per garantire più sicurezza economica a famiglie e imprese”. Diverso il tono delle opposizioni, per le quali si tratta di decreto definito “iniquo, confuso e inapplicabile” che “butta i soldi degli italiani”, secondo Forza Italia, mentre la Lega parla di testo “estemporaneo” e che non risponde ad alcuna “strategia economica”. E come dargli torto? Basta iniziare a leggere il primo articolo del decreto in questione: “Al fine di evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria, ai sensi dell’articolo …, il Ministero dell’economia e delle finanze è autorizzato, fino al 30 giugno 2017, a concedere la garanzia dello Stato su passività delle banche italiane”.



Fino al 30 giugno, quindi. E dopo? Per forza la Lega parla di un testo estemporaneo che non risponde ad alcuna strategia economica. Qui si tratta di un intervento volante, 20 miliardi buttati al volo, non ancora persi, ma che rischiano di essere definitivamente persi. Infatti, sono 20 miliardi, come dice il decreto, “al fine di evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria”. Qui i risparmi dei cittadini non c’entrano nulla, qui si vuole solo tamponare una falla delle banche italiane, per evitare il peggio.



Una riparazione su una falla non è una strategia, è solo una mossa d’urgenza per evitare il peggio. Ma eviteremo davvero il peggio? Una cosa è chiara, qui i risparmi degli italiani non c’entrano nulla. E tutti sanno che i 20 miliardi servono urgentemente per Mps e per le due banche venete in procinto di fondersi, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Al contrario, se ora le banche italiane hanno dei problemi (a parte i casi di sottrazioni di fondi, di cui si occupa e si occuperà la magistratura) è a causa dei cosiddetti Npl (non performing loans), cioè i prestiti che le banche non riescono a riavere indietro. 



Qui si tratta di una situazione delicata, poiché su 200 miliardi Npl, circa 64 sono imprese del settore edile e altri 15 sono di famiglie che hanno difficoltà a ripagare il mutuo. Quest’ultima è una cifra tutto sommato limitata, ma di un notevole impatto sociale, poiché riguarda oltre 500mila famiglie. E sono in totale 2,4 milioni i mutui pagati da redditi medio bassi. Un ulteriore calo del Pil (o aumento della disoccupazione) rischia di provocare un disastro sociale. Questa è la vera emergenza, rispetto alla quale il governo si preoccupa solo di preservare i bilanci delle banche. Ma ci si dimentica che, quando si stipula il mutuo, i contraenti sono due e l’esperto non è certo il cliente. 

E proprio dal lato di chi dovrebbe essere esperto in mutui, cioè la banca, esistono gravi responsabilità, se è vero che, come denunciato da professionisti del settore, questi prestiti sono basati su valutazioni che sono erronee nel 90% dei casi. Inoltre, la normativa approvata nel 2015 prevedeva la sospensione delle rate, ma solo per la parte riguardante il capitale: in altre parole, la parte degli interessi, cioè i profitti delle banche, viene comunque preservata. Evidentemente i profitti bancari sono ritenuti un bene superiore alle sofferenze delle famiglie e la politica dimostra ancora una volta di non comprendere il lato umano di certi rapporti finanziari. Eppure le soluzioni ci sono. 

Per esempio, c’è la proposta sostenuta anche dalla Cassa di previdenza dei Geometri, per cui un fondo comune di investimento immobiliare sociale potrebbe diventare proprietario dell’immobile e darlo in locazione a canone calmierato, per cinque-otto anni, alla famiglia in difficoltà con le rate del mutuo. Invece, dal lato della politica per ora tutto tace, impegnati come sono a prolungare la legislatura e arrivare a ottenere la loro pensione.

Un disastro, insomma. E ora chi paga il disastro? Ovviamente lo Stato, cioè sempre noi cittadini. E rischiamo di pagarlo due volte, perché la Bce per l’erogazione del Qe, che serve sempre a salvare il sistema bancario, pretende garanzie. E le uniche garanzie solide sono ormai diventate le partecipazioni al capitale di Banca d’Italia, cioè all’oro da essa detenuto, oro di proprietà dei cittadini. Infatti, dalla ricapitalizzazione della Banca d’Italia, avvenuta sotto il governo Letta, lo stato giuridico dell’oro è caduto in una sorta di limbo. Nessuno (finora) discute il fatto che quell’oro è di proprietà dei cittadini. Ma se la partecipazione al capitale della Banca d’Italia era solo rappresentativo, come mai si è proceduto alla ricapitalizzazione, con la scusa di adeguare il capitale al reale valore della nostra banca centrale? Oltre a regalare di fatto alle banche oltre 7 miliardi, l’adeguamento delle quote al valore della banca centrale mette in discussione la reale proprietà degli asset della banca, cioè anche dell’oro, che ha un valore di circa 100 miliardi.

Una cosa è certa: stanno avvenendo movimenti sui quali non ci stanno dando complete informazioni. Altrimenti non si spiega come mai la Germania stia accelerando il rientro del suo oro, depositato finora a Londra, Parigi e soprattutto negli Usa. E la Germania è il secondo maggiore detentore di oro al mondo, dopo gli Stati Uniti. Rispetto a questi movimenti e queste delicate questioni, il decreto cosiddetto “salva-risparmio” è solo fumo negli occhi dei cittadini.