Pier Carlo Padoan ha inviato la lettera di risposta alla Commissione europea che chiedeva un aggiustamento dei conti pubblici pari a circa 3,4 miliardi di euro. Il ministro dell’Economia, con un tweet, ha detto che non ci sarà “nessuna manovra estemporanea”, tuttavia ha messo nero su bianco che con il Def, oltre a tagli alla spesa, potrebbero essere ritoccate all’insù accise e imposte indirette. Ora tocca alla Commissione europea valutare i contenuti della missiva da Roma, ma anche sugli organi di stampa italiani non manca chi evidenzia il “rischio commissariamento” per il nostro Paese. E Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, ritiene che Bruxelles, «in modo neanche tanto gentile, spinge verso il commissariamento».
Professore, cosa ne pensa della risposta inviata da Padoan a Bruxelles?
È una risposta al tempo stesso politica ed economica. Politica nel senso che promette impegni, ma diluiti. Economica nel senso che probabilmente considera il fatto che in parecchi ambienti finanziari internazionali il 2017 viene ritenuto l’anno in cui l’euro potrebbe disgregarsi oppure vedere uscire un Paese, che potrebbe essere l’Italia. Non perché lo vogliamo noi, ma perché vengono create le condizioni. Questo è ciò su cui alcuni scommettono, ma credo che a un’analisi più attenta non possa sfuggire che una reazione a catena sull’Europa sarebbe inevitabile. Il fatto è che siamo nell’angolo, perché diventa difficile non rispettare regole che pure abbiamo messo in Costituzione.
E per rispettare queste regole c’è il rischio che vengano ritoccate accise e imposte indirette…
Sì, sembra che stiamo andando verso un silenzioso aumento della pressione fiscale. Siamo però già in una situazione di grande incertezza, resa evidente da un aumento anomalo dei depositi di conto corrente: le famiglie, quel poco che hanno, preferiscono tenerlo liquido perché vedono un futuro effettivamente molto incerto. E un passo indietro delle famiglie sulle decisioni di consumo e investimento non è gran contributo a una ripresa dell’economia. E questo atteggiamento negativo verrebbe amplificato da un aumento della pressione fiscale, perché il reddito disponibile, anche se marginalmente, diminuirebbe.
Questo non ci aiuterebbe. E forse non ci aiuta nemmeno l’inflazione che cresce a livello europeo, ma non in Italia. Se si avvicina troppo al 2% la Bce, nonostante gli annunci, faticherà a portare avanti il programma di Quantitative easing oltre il 2017.
Sul tasso di inflazione c’è da notare una cosa. A maggio 2016 in tutta l’Eurozona era negativo. A partire da giugno è incominciato un aumento su base annua di alcuni paesi, specialmente la Germania e quelli a lei legati, mentre altri, tra cui l’Italia, sono rimasti indietro. Teniamo conto che il prezzo del petrolio incide grosso modo per tutti allo stesso modo. Questo vuole dire che c’è un’area, circa metà dell’Europa, che viaggia su tassi di inflazione sopra l’1,6%, mentre una fascia di paesi resta allo zero virgola.
E questo cosa significa?
Che alcuni paesi presumibilmente registrano un aumento del tasso di inflazione “buona”, che rispecchia un’economia “brillante”, che cresce. L’Italia, quindi, non ha agganciato la ripresa, cosa che invece metà dell’Europa ha fatto. E poi siamo molto vicini, a livello generale, al tasso che la Bundesbank considera desiderabile. In tutto questo quadro, anziché esserci un atteggiamento di “solidarietà”, c’è un richiamo a regole scritte che è obiettivamente poco in linea con la possibilità che l’Italia esca da questa situazione in modo virtuoso, cioè riprendendo la crescita.
Non è dunque servito quanto fatto finora?
Ciò che ha fatto il Governo precedente non ha funzionato, perché ha operato un enorme trasferimento di risorse verso le imprese. Verso la domanda interna delle famiglie ci sono stati sì gli 80 euro, ma non molto di più. Da questo punto di vista si può notare un atteggiamento contraddittorio dell’Ue: c’è stata una grande apertura di credito per il governo precedente per manovre di grande importo, ma che non hanno lasciato traccia nella vita economica di famiglie e imprese; ora il messaggio che arriva da Bruxelles va in direzione contraria, perché all’attuale esecutivo si chiede di aumentare la pressione fiscale.
La Commissione europea ha dunque cambiato atteggiamento? Perché?
L’Italia continua a essere appetibile, perché in una situazione di ristagno economico è cheap: viene via a buon mercato. È quasi come se ci fosse una spinta a fare in modo che il Paese quasi stremato diventi ancora più cheap. Penso che Bruxelles, per motivi politici, e non solo, abbia cambiato atteggiamento. Forse perché teme che concedere all’Italia di sforare ancora possa costituire un precedente a cui altri potrebbero appellarsi. Oppure, cosa più plausibile, Bruxelles si comporta così perché, in modo neanche tanto gentile, spinge verso il commissariamento del nostro Paese.
Cosa potrebbe fare la Troika se arrivasse in Italia?
Non saprei bene, perché, per esempio, quello che si poteva fare dal lato della flessibilità del lavoro lo si è già fatto: più di così non so cosa si potrebbe fare. In mezzo a questa enorme incertezza avremmo bisogno come il pane di una politica industriale e di imprenditori veri a cui rendere la vita più facile perché possano innovare. Ma questo è quello che mai e poi mai una Troika farà. Di fatto verrebbe qui e in modo ottuso riproporrebbe il mantra degli ultimi 8 anni, cioè l’austerità, mettendo definitivamente in ginocchio il Paese.
(Lorenzo Torrisi)