L’Unione europea non cessa di sbalordire. L’ho scritto più volte, non posso che ribadirlo: ormai si tratta di un vero e proprio genere letterario di made in eurocrazja. È un lessico che incorpora ed esprime naturalmente una neolingua che non ha niente da invidiare a quella dettagliata da Orwell nella famosa appendice al suo classico, “1984”. Come sempre, l’equivoco regna sovrano e anche questo fa parte del copione burocratico.
È ovvio che non si tratti di mera guerra sui decimali, anche se il casus belli sembra essere una bella crociata fuori tempo massimo contro l’Italia che cucina la manovra in maniera vaga, confusa e pasticciata. Padoan ha appreso l’arte renziana del “latinorum” de noantri in materia di regolazione finanziaria e, del resto, basta dare un’occhiata al sito della Ragioneria Generale dello Stato per afferrare quel certo quid di stato degenerativo finale tipico della fine impero. Ma, ancora una volta: non è questo il punto. Il nodo è altrove: l’Unione europea, da un lato, sta praticando bullismo istituzional-burocratico nei confronti dell’Italia, concedendo l’uso di oltre un miliardo in deficit per sovvenire ai bisogni più che urgenti delle popolazioni terremotate (e siamo già in ritardo, per usare un eufemismo), dall’altro, sta rintuzzando le bordate provenienti non solo da Donald Trump, ma anche dal nuovo assetto euroasiatico orientato al Pacifico. La Cina sta diventando la calamita del Pacifico e l’Ue è ancora una volta sotto schiaffo. L’Italia, tradizionale anello debole e oggi in cerca di un nuovo equilibrio attraverso l’accordo con la Libia (ipocritamente applaudito a Malta), è il bersaglio ideale, in questa fase.
Ma il punto sui decimali è ridicolo. L’Ue mira a ben altro. Fra sei mesi l’Italia deve individuare venti miliardi di risparmi e nuove entrate per rispettare il suo obiettivo 2018: un disavanzo che cala dal 2,1% all’1,2% del Pil. Quindi, l’Ue è in agguato e mira a ricentrarsi attraverso una serie di micro conflitti interni, usando la vacca sacra della “stabilità”, obiettivo finale: rivalutare la portata della virtuosa Europa del Nord vs l’inaffidabile Europa che guarda al Mediterraneo. Una visione geopolitica e geoeconomica degna di una scimmia abbandonata nella giungla. L’eurocrazja infatti vive proprio questa imbarazzante sindrome dell’abbandono: Trump manda un becchino dell’europeismo a Bruxelles, la Cina sta mangiando debito americano, attirando l’attenzione dei nuovi global radical chic di Davos, che oggi apprezzano anche il vorace e geniale fondatore di Alibaba, Putin sta limando la sciabola per affondare il colpo, all’indomani del suo accordo con Trump.
È l’agonia dell’Europa. Non piace più a nessuno. È solo burocrazia svirilizzata e priva di alcun guizzo perfino tecnico. Perfino il Brexit sta diventando un successo e una mitografia non più cancellabile. Dopo la mossa della parola al Parlamento, la May sta comunque vincendo, è solo una questione di tempo.
Insomma, la funzione storica dell’Ue è finita. Non è finita soltanto la “spinta propulsiva”, quella da un pezzo è defunta, è finito l’assetto, il sistema, che sta mostrando di essere un marchingegno privo di orientamento culturale, etico e valoriale, come dicono i sociologi, e di nessun interesse per il mondo che sta camminando in un’altra direzione.
Draghi vorrebbe incentivare la passione verso questo macchina priva di anima disegnando scenari di nuovi povertà fuori dall’euro, ma quando si arriva a questi punti – la deterrenza, di fatto – vuol dire che non c’è più alcun aspetto generativo e positivo da richiamare. Dunque, per citare il Vangelo, “dalle tue stesse parole ti giudico”.