“L’Italia ha delle pratiche commerciali diverse che in altre parti del mondo”, ha detto Gavin Patterson, l’amministratore delegato di British Telecom nel mondo, parlando dello scandalo da 630 milioni di euro che ha deciso di denunciare sui conti del suo gruppo, facendone crollare di 8 miliardi di euro il valore in Borsa. Che vuol dire “diverse pratiche commerciali”? Per un’azienda come Bt Italia, che ha circa 80 mila clienti tra istituzioni e aziende, ma non serve i normali cittadini, fatturando poco meno di 1 miliardo di euro, “pratiche commerciali diverse” significa pagamenti a un anno o significa mazzette? Significa carte false, e insomma truffe, oppure ribassi d’asta, rinegoziazioni, varianti in corso d’opera, tipologie di ordinario “casino” italiano che tutti i fornitori di Stato ed enti pubblici ben conoscono?



Dalle comunicazioni scarne di Bt – rese ai mercati il 24 gennaio scorso – non si capisce. Viene fuori un attacco generico: “C’è del marcio in Italia”. La revisione-monstre dei conti di gruppo segue di quattro mesi il licenziamento dell’ex ad italiano Gianluca Cimini, della ex direttrice operativa Stefania Truzzoli e di un altro gruppetto di dirigenti, mal controllati da Londra dal numero due del gruppo ed ex (fino a quattro anni fa) capo italiano Corrado Sciolla (dimissionario). Se Cimini e Truzzoli, con la complicità di qualche sottopancia, avessero davvero da soli perforato così in profondità e gravemente i conti del gruppo, meriterebbero un posto in prima fila nel “pantheon” dei più grandi truffatori di tutti i tempi, accanto a Frank Abagnale, Charles Ponzi o Calisto Tanzi.



Tutto è possibile. Ma niente è chiaro. Anzi no: di chiaro, a oggi, c’è solo la modalità clamorosa scelta da Bt Londra per procedere: senza dettagli comunicati al mercato sul come e dove siano stati perpetrati gli abusi. Dettagli che alcuni si aspettano da Bt. Ma è più probabile che a far luce su ciò che realmente è accaduto sarà l’inchiesta che la Procura di Milano ha affidato, contro ignoti, al Pm Fabio De Pasquale, tra i più attivi e competenti in materia societaria.

Si sa che le due voci principali della maxi-perdita fatta emergere dall’Italia sono per 268 milioni di sterline errori dagli anni precedente (quali anni? Quanti errori per anno? Su quanti clienti?) e che 245 milioni derivano da “cambi di stime contabili”, cioè si riferiscono a partite legate a contratti pluriennali di dubbia esigibilità o a ritardi di pagamento. Quindi non si tratterebbe di tutte perdite secche, chiare e tonde. Certo, il buco ci sarà: ma fatto come, con quali margini di recupero, per quali cause e per quali responsabilità, Bt non l’ha detto, e dalle comunicazioni ufficiali al mercato non emerge.



Non emerge, per esempio che nell’agosto 2016 Cimini, ancora in sella, aveva sottoscritto un’opzione per comprare il ramo d’azienda di Tiscali che ha “in pancia” il maxi-contratto per la connettività della Pubblica amministrazione, dal valore di 500 milioni di euro in nove anni, vinto nella complessa e tesissima gara Consip. Dopo aver licenziato Cimini in settembre, Bt ha lasciato scadere i termini per l’esecuzione dell’opzione, che è stata poi rilevata da Fastweb (gruppo Swisscom): non doveva essere un cattivo affare, insomma. Come non sembravano malaccio i conti che da anni chiudeva Bt Italia, poco meno di 1 miliardo di euro di fatturato con conti revisionati da Price Waterhouse e un comitato di “audit” (controllo contabile) che si riuniva a scadenze fisse, solitamente mensili.

“È stato un caso di menzogne costruite su menzogne”, ha detto Paterson del caso-Italia parlando di un gruppo di persone che per diversi anni ha continuato a mentire. Sta di fatto che, intanto, Bt ha insediato in Italia un nuovo amministratore, Andrea Giovanni Bono, finora capo di BT Svizzera, e per anni uomo di punta della squadra di Corrado Sciolla, l’ex capo Italia – prima di Cimini – dimissionario per lo scandalo. Che era stimato da tutti, in azienda, e talmente sicuro della sua posizione in Bt da aver rifiutato, appena un anno fa, un posto d’oro come direttore generale del colosso Fincantieri.

Dunque in Italia da anni un gruppo di dirigenti imbroglioni avrebbe creato un buco da 630 milioni, mal controllati – da Londra – da un top manager dimessosi per la responsabilità oggettiva dei controlli inefficaci e, forse, per l’origine antica di alcune delle partite deteriorate; talmente in buona fede, però, da aver scelto recentissimamente di restare in Bt; e da aver avuto la soddisfazione “postuma” di vedere un suo ex stretto collaboratore nominato come nuovo capo dell’azienda perforata dal buco. Tutto chiaro? Mica tanto.