Commentando il negoziato in corso Bruxelles sulla compatibilità del bilancio preventivo italiano con i trattati e gli accordi intergovernativi europei, il Direttore del Centre for European Policy Studies, Daniel Gros, ha sottolineato che con quanto presentato dall’Italia (nella lettera di risposta alla Commissione europea) siamo alle prese con un film visto e stravisto. Ha aggiunto anche che se avessimo seguito le raccomandazioni dell’Ue dal 2014 avremmo già fatto un buon pezzo di strada. “Avreste dovuto fare come il Belgio che da quanto è partita l’unione monetaria ha avuto una politica che ha portato ad avanzi primari del 4,5% del Pil, riducendo il debito e avendo anche un buon tasso di crescita”, ha detto.
Numerosi economisti europei condividono l’analisi e il pensiero di Gros: soprattutto il confronto con le politiche virtuose del Belgio (spesso preso in giro sulla stampa italiana per il suo complesso federalismo), dovrebbe indurci a riflettere sulle politiche degli ultimi anni. E non solo.
Probabilmente, prima ancora che verrà pubblicato questo articolo, un comunicato da Bruxelles ci informerà che Italia e Ue hanno raggiunto un compromesso soddisfacente per le due parti: un (leggero) aumento delle entrate (accise, maggiore riscossione da elusione ed evasione tributaria), qualche (ancor più lieve) ritocco alla spesa in parallelo con il varo del Documento di economia e finanza e misure sostanziose (ma non ancore determinate) al momento della prossima Legge di bilancio.
Il nodo è che questo minuetto viene ballato da molto, troppo, tempo. L’Ue non ha il coraggio o la forza di mettere alle corde l’Italia, “Paese fondatore” della Comunità e in ogni caso uno dei maggiori e più importanti Stati dell’Unione. E mentre l’Ue si attardava in eleganti minuetti settecenteschi, il resto del mondo è cambiato profondamente: va almeno a tempo di rock’n’ roll. È cambiato il contesto geopolitico e geoeconomico. L’Europa non è il più il continente che il Governo americano vedeva come secondo pilastro di una partnership che avrebbe guidato il mondo e dove gli Usa venivano a collocare titoli pluriennali del Tesoro (i Rosa Bonds, dal nome del Sottosegretario incaricato della bisogna) per finanziare la guerra in Vietnam.
È cambiato soprattutto il contesto finanziario. Lo spread dell’Italia sta aumentando velocemente (sfiora i 200 punti base rispetto al Bund, ma supera i 400 rispetto ai titoli decennali americani) non a ragione del saragattiano “destino cinico e baro”, ma perché i mercati sono tanto stanchi delle nostre promesse da marinaio da non fidarsi più.