Giovedì scorso mentre andavo in macchina ho acceso la radio e ho iniziato ad ascoltare un dibattito che sembrava tra economisti, ma a un certo punto credevo davvero di stare ascoltando una trasmissione comica, una trasmissione di satira politica. Eppure si trattava di Radio24, la prestigiosa e autorevole (?) radio del Sole24Ore. Poi ho scoperto che il conduttore era Oscar Giannino e l’intervistato era Gianni Balduzzi. La parte interessante è stata quando ho sentito il conduttore commentare il fatto che il partito laburista (la sinistra inglese) aveva appoggiato massicciamente il voto in parlamento per uscire dall’Unione europea e quindi il ricorso all’articolo 50 del trattato di Lisbona. Il commento era relativo al fatto che nessuno o quasi aveva riportato la notizia (scomoda) e che ovviamente la stessa non era stata commentata da nessun politico di sinistra in Italia.
Ho iniziato ad avere il dubbi che fosse una trasmissione satirica quando il conduttore Giannino ha detto che la Germania non è cattivona, perché ha un surplus del 6%, cioè fuori dai parametri europei, perché gran parte di questo surplus lo ottiene nel commercio con paesi fuori dell’Europa e quindi non danneggia gli altri paesi europei. Anzitutto bisogna dire che il surplus della bilancia commerciale tedesca è del 9%, mentre il 6% è il limite dei regolamenti europei; e poi il ragionamento non sta in piedi, perché la Germania ottiene un simile vantaggio proprio grazie a una moneta tanto svalutata rispetto alla sua economia. Se avesse il suo marco, la Germania non avrebbe certo un simile surplus nella bilancia dei pagamenti. E occorre ricordare che il limite al surplus della bilancia commerciale venne messo proprio per evitare che un Paese ottenesse enormi vantaggi a discapito degli altri. Altrimenti, perché mai la Germania avrebbe accettato una regola europea così dannosa?
Era una regola di ovvio buon senso: niente deficit eccessivi (entro il 3%) e niente surplus eccessivi (non oltre il 6%). Ma la Germania ha violato sia quella del deficit eccessivo (insieme alla Francia), sia quella del surplus eccessivo (da ormai troppi anni consecutivi, senza che abbia messo in moto alcun meccanismo per moderarlo). Nel 2012 l’euro era a 1,4 sul dollaro, ora è a 1,07: ovviamente le esportazioni extra-Ue volano e altrettanto ovviamente se ne avvantaggiano i paesi più forti.
Ma la parte surreale è iniziata quando Giannino ha commentato le ipotesi di ripresa economica con la svalutazione di una moneta nazionale: a quel punto ha detto che lo avevamo fatto già negli anni Settanta, ma il risultato è stato che “svalutando, svalutando abbiamo fatto esplodere il debito pubblico, abbiamo abbassato la produttività, abbiamo avuto l’inflazione fino alla doppia cifra e l’inflazione a doppia cifra o comunque elevata aiuta chi ha i debiti, cioè lo Stato”. Beh, su tre almeno una l’ha azzeccata, effettivamente l’inflazione alta aiuta ovviamente chi ha i debiti, perché al passare del tempo l’inflazione diminuisce il valore reale del debito (perché grazie all’inflazione la moneta vale sempre meno nel tempo). Ma l’esplosione del debito negli anni Settanta è una balla colossale, perché il debito nel 1980 era al 56% del Pil. Il debito è esploso quando siamo entrati nel serpentone monetario nel 1979 e poi con la perdita di sovranità monetaria nel 1981 (col divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia).
Seppure è vero che in numeri assoluti il debito pubblico negli anni Settanta è aumentato significativamente, è pur vero che anche il Pil era in crescita fortissima, e quindi il rapporto tra debito e Pil tra il 1973 e il 1981 oscillava tra il 50% e il 58%. Poi il Pil è crollato mentre il debito pubblico continuava la sua corsa sfrenata e così, dal 1983 al 2015, mentre il debito si moltiplicava per 10 grazie alla moltiplicazione degli interessi, il Pil aumentava solo di 5 volte.
Ma il vertice della menzogna veniva raggiunto subito dopo con l’affermazione che “l’inflazione è una tassa nascosta sui poveri”. A parte il fatto che sono almeno quarant’anni che io personalmente sento che “l’inflazione è una tassa nascosta”, ma dopo quarant’anni faccio davvero fatica a capire cosa ci sia di nascosto; evidentemente ormai sono arrivati i tempi in cui “i fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro” (come scrisse Chesterton) e per ricordare che l’inflazione non è una tassa per i poveri, ma per chi ha i soldi! A chi non ha un euro, l’inflazione gli fa un baffo! Al contrario i ricchi che posseggono liquidità vedranno diminuire il valore reale della loro liquidità a causa dell’inflazione. Allora i ricchi, per non perdere il valore dei soldi, preferiranno investirli e spenderli, generando così lavoro per chi è povero. E pure chi non ha soldi per iniziare una nuova attività e li prende a prestito sarà favorito dall’inflazione, perché il suo debito nel tempo perderà valore. Quindi l’affermazione che “l’inflazione è una tassa nascosta sui poveri” è una pura leggenda metropolitana.
Tale leggenda è pure sconfessata dai dati ufficiali, poiché da quando abbiamo perso la sovranità monetaria entrando nel serpente monetario nel 1979 (e la nostra lira non poteva variare da un valore medio delle monete principali più del 6%) e poi con il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia (per cui la nostra banca centrale ha smesso di acquistare i nostri titoli di Stato, lasciando che l’interesse dei titoli fosse determinato dal mercato), allora l’inflazione ha iniziato a calare e la disoccupazione ad aumentare. Ovviamente, perché chi aveva il denaro, visto che non perdeva valore, ha iniziato a tenerselo e a non investirlo (o investirlo nei mercati finanziari) e quindi soprattutto la disoccupazione giovanile è aumentata.
La situazione descritta è affermata anche dal recente Rapporto Oxfam, secondo il quale gli otto più ricchi del mondo posseggono da soli le ricchezze della metà più povera della popolazione mondiale. E la ricchezza dell’1% dei più ricchi, da quando è scoppiata la crisi nel 2008, è in continua crescita. Capito a cosa porta la bassa inflazione? E soprattutto vorrei ricordare a Giannino e a tutti quelli che fanno astrusi calcoli sul costo di una uscita dall’euro che il ritorno alla moneta nazionale non è un semplice “cambio di una moneta con un’altra”, ma significa soprattutto il ritorno alla sovranità monetaria e quindi la possibilità sovrana di stampare moneta per pagare qualsiasi debito e risolvere ogni tensione sui titoli di Stato. Sarebbe infatti assurdo cambiare una moneta internazionale per un’altra nazionale e poi non usare la sovranità monetaria, cioè il vero valore aggiunto della moneta nazionale.
La sovranità monetaria è qualcosa che i mercati finanziari conoscono molto bene: altrimenti non si spiega come mai il Giappone non abbia alcun problema sui suoi titoli di Stato, con un debito che ha raggiunto il 250% del Pil e un Pil che cresce di appena il 2%. E pure il Giappone non ha risorse particolari, la corruzione è diffusa e la natalità è a livello di estinzione (8 nascite su 1000 abitanti, persino di poco inferiore all’Italia). E il recupero della sovranità monetaria significa sia poter stampare moneta per pagare (eventualmente) i debiti del Target2, come minacciato da Draghi in una sua recente risposta, sia poter investire per il recupero socioeconomico delle zone terremotate senza dover chiedere all’Unione europea di non dover contare tale denaro come nuovo debito per il calcolo dei parametri Ue. Ma soprattutto significa poter spendere per ricostruire il welfare, generare posti di lavoro, attuare politiche in favore delle famiglie, in particolare per quelle numerose. Infatti, creare denaro dal nulla, finché c’è disoccupazione, non porterà mai inflazione a livelli preoccupanti. Al contrario creare denaro per darlo alle banche e alimentare così il potere del sistema finanziario sarebbe un danno catastrofico: proprio quello che sta accadendo ora.
Invece noi oggi ci ritroviamo con l’euro e con il ministro Padoan che fa e disfa, come Penelope con la sua tela. Un giorno scrive la lettera all’Ue per promettere vagamente ciò che non può ottenere e rischiando così una procedura di infrazione per l’Italia, il giorno dopo si permette di dichiarare che la procedura di infrazione sarebbe catastrofica per l’Italia, sia per la perdita ulteriore di sovranità, sia per il costo da pagare. La differenza tra Penelope e Padoan è che lei, la moglie fedele, aspettava la salvezza dal ritorno del marito, Ulisse. Padoan, invece, sa benissimo che non c’è alcuna salvezza in vista, con l’euro andremo inevitabilmente a fondo, prima o poi.