A giudicare dall’andamento degli indici finanziari, anche questa volta il governatore della Bce Draghi è riuscito a fare il miracolo e a riportare il sereno sui mercati europei e in particolare su quelli più problematici come l’italiano, che ieri ha festeggiato ancora sull’onda lunga degli annunci di giovedì. Dalla Bce non è emersa nessuna minaccia imminente di un restringimento della politica monetaria che continua a essere espansiva con la banca centrale “pronta ad aumentare il programma di acquisto di asset sia in durata che in dimensione”. Dalla Germania né prima della riunione, né dopo si sono levate particolari lamentele per una politica di tassi bassi nonostante una mini ripresa dell’inflazione; tutti d’accordo per una Bce che continua a supportare i “mercati” e i Paesi periferici, inclusa una Germania che non solo non fiata, ma difende un governatore con cui le polemiche erano all’ordine del giorno.



Il mistero di questa pace improvvisa è con ogni probabilità spiegabile solo alla luce dei prossimi appuntamenti elettorali in Europa. Qualsiasi elemento di conflitto tra stati membri dell’Unione europea che dia l’impressione che nell’attuale costruzione ci sia qualcuno che guadagna molto e qualcuno che perde molto rischia di tirare la volata ai partiti anti-europeisti che nelle prossime settimane si giocheranno la partita a partire, in particolare, dalla Francia. La rottura dell’euro, in questo momento, è un incubo anche per la Germania e non solo, come si crede comunemente, per l’Italia. La Germania si ritroverebbe con una valuta fortissima, isolata politicamente da tutti quelli che non aspettano altro di avere la rivincita in un mondo che pare diventare protezionista.



Il modello economico che ha costruito Berlino negli ultimi venti anni verrebbe messo in discussione da una rottura dell’euro. Oggi la Germania esporta liberamente forte di un cambio molto più debole di quello che meriterebbe da sola e di una competizione interna rintuzzata a colpi di austerity. Senza l’euro la Germania si troverebbe una competizione molto più minacciosa e una valuta forte. Aggiungiamo che Berlino sarebbe da “sola” nelle trattative con gli Stati Uniti di Trump e senza più gli alleati oggi arruolati loro malgrado al suo servizio nell’Europa. Sarebbe non solo impossibile replicare quanto fatto negli ultimi due decenni, ma si dovrebbe fronteggiare una crisi profonda e una rottura netta.



Oggi quindi i mercati sono convinti che il candidato europeista Macron sarà il prossimo presidente della repubblica francese. Lo spiegava in una nota pubblicata giovedì Credit Suisse dando diverse ragioni: per una vittoria di Marine Le Pen servirebbe che il margine di errore dei sondaggi sia tre volte più grande di quello sperimentato con la Brexit e con Trump; il Front National è un partito “vecchio” che non può andare molto più in là della sua base storica; Marine Le Pen a differenza di Trump e dei supporter della Brexit non ha dietro parti dell’establishment; al secondo turno non potrà contare su grande supporti da chi ha perso il primo. Infine, anche se eletta avrà molte difficoltà a portare la Francia fuori dall’euro.

Se questo è lo scenario, la Germania si mette tranquilla e comunque la Le Pen non ce la farà mai, si capisce l’ottimismo che si è respirato sui mercati nelle ultime settimane. Mercoledì prossimo avremo la prima indicazione del reale stato del malcontento in Europa con le elezioni olandesi, un passaggio forse poco significativo nella sostanza, ma comunque segnaletico. Per capire se l’umore attuale dei mercati sulle elezioni francesi è giusto, invece, bisogna aspettare altri due mesi, che, comunque vada, non basteranno per convincersi che i problemi strutturali dell’Europa finiscono con la vittoria o la sconfitta di Marine Le Pen.