Si è chiuso ieri il Consiglio europeo in cui Donald Tusk è stato confermato alla Presidenza, sollevando la protesta della stessa Polonia. È stata quindi messa a punto la dichiarazione che dovrebbe concludere le celebrazioni dei 60 anni dei Trattati di Roma a fine marzo. In che condizioni è l’Ue in questo inizio 2017? Per Mario Deaglio, «la posizione economica dei governi che contano in Europa è evoluta abbastanza rapidamente negli ultimi sei mesi, in favore di una maggiore elasticità. La Germania è molto interessata a che il nucleo europeo non si frantumi e non può non pensare di dare elasticità a paesi membri che non sono così forte come lei».



Vede delle criticità nel futuro dell’Europa?

Se guardiamo nell’immediato, nei prossimi 3-4 mesi, direi no. C’è solo un piccolo interrogativo sulla Francia, ma mi sembra difficile che Marine Le Pen possa vincere le elezioni. L’economia dà comunque segnali positivi, un po’ meno in Italia. C’è poi un calcolo che nessuno fa mai: se prendiamo il Pil per abitante, l’Ue è probabilmente davanti o molto vicino agli Usa, perché la popolazione europea è statica.



Guardando invece oltre l’estate?

Le cose si complicano molto. Ancora non abbiamo capito cosa succederà con la Brexit. Io sono convinto che gli inglesi si siano fatti male da soli. Se l’Europa fa quello che dice di voler fare, la cosiddetta “opzione nucleare”, per cui se il Regno Unito continua a non voler dare inizio alla procedura previsto dall’articolo 50 Bruxelles sospenderà il suo voto di fatto escludendolo da tutti gli organi comunitari, allora Londra in una bruttissima situazione. C’è poi da vedere come evolverà la situazione con la Russia. 

Da che punto di vista?

Presto bisognerà decidere se rinnovare o meno le sanzioni contro la Russia. Considerando che Trump non sembra tenerci molto, l’Europa sceglierà di farsi del male da sola? Solo la Germania ha una posizione più dura con Mosca, contro gli interessi dei suoi industriali, perché subisce una forte pressione da parte dei paesi dell’Est cui vuol presentarsi come punto di riferimento. Se gli scambi con la Russia venissero sbloccati, paesi come Italia e Germania avrebbero facilmente una extra-crescita dello 0,2-0,3%. 

Si è parlato ancora di un’Europa a più velocità. Lei cosa ne pensa?

Credo che venga agitata come uno spauracchio nei confronti di paesi come l’Ungheria o la Repubblica Ceca, per dir loro che occorre fare attenzione a certi atteggiamenti così dissonanti, perché potremmo anche lasciarli fuori. Non si tratta di mandarli via, ma di non includerli in una visione futura dell’Europa: quindi avranno dei benefici, ma marginali. Mi spiego: supponiamo che Francia e Germania decidano di unificare la difesa. Altri paesi potranno aggregarsi, ma impegnandosi a mantenere certi standard. 

Dunque non si tratterebbe di realizzare nuovi Trattati…

L’Europa a più velocità la vedo come un insieme di iniziative del tutto fuori dai Trattati, che quindi i paesi possono prendere per loro volontà politica e che non sono necessariamente estensibili a tutti.

Passando dall’Europa agli Usa, la prossima settimana la Fed potrebbe aumentare i tassi. Questo potrebbe avere effetti negativi sull’economia?

L’aumento, nel caso, sarà piuttosto basso. Questo i mercati dovrebbe averlo già scontato, come si vede dall’ascesa dei rendimenti dei titoli di stato. Occorre, secondo me, guardare alla possibilità che sul mercato finanziario americano continuino condizioni di liquidità abbondante, anche se un po’ più cara. Se questo succederà, le aziende potranno proseguire con i loro buybacks, alimentando il rialzo delle quotazioni azionarie. Questo non c’entra però con l’economia reale, dove è più importante capire se davvero si faranno gli investimenti di cui Trump ha parlato.

(Lorenzo Torrisi)