Per ripartire, l’Italia ha bisogno – non c’è dubbio – di buona imprenditoria e buona informazione. Il Sole 24 Ore, da sempre quotidiano leader dell’informazione economica, controllato dagli imprenditori italiani riuniti nella Confindustria, è stato negli ultimi anni una metafora degli opposti, la dimostrazione lampante di come la cattiva gestione di un’azienda un tempo di successo possa inficiare gli effetti sia delle tante qualità di moltissimi imprenditori italiani sia delle forti competenze di moltissimi giornalisti del Sole.
E l’involuzione del Sole da giornale leader a giornale in crisi nera è stata anche, contemporaneamente, il ritratto di Dorian Gray di una Confindustria in cerca d’autore, dove il neo presidente Vincenzo Boccia, a dieci mesi dalla nomina, non è ancora riuscito – per quanti sforzi abbia fatto e per quanto meriti tuttora credito – a ricondurre a unità le spinte opposte della sua base, che lo preferì all’antagonista Alberto Vacchi con uno scarto di appena 5 voti alla conta finale.
I 300 milioni di euro bruciati dal Sole in sei esercizi chiedono oggi all’azionista Confindustria uno sforzo finanziario imponente: un centinaio di milioni. Per fronteggiarlo da sola, Confindustria dovrebbe svenarsi: tecnicamente può, ma non è detto che vorrà farlo. Cioè non è detto che Boccia – di per sé convinto – troverà il necessario consenso per un’operazione senza precedenti, in viale dell’Astronomia. Ha in cassa da spendere, se vuole restare a secco, non più di una sessantina di milioni di euro; possiede immobili mutuabili a 30 anni dalle banche creditrici – la solita Intesa Sanpaolo, Mps, Popolare Sondrio e Bpm – per altri 110 milioni circa: ma poi pagare le rate costa…
Molto dipenderà dagli equilibri del sostegno che si compatterà o si sfalderà attorno a Boccia.
Al giovane e dinamico stampatore salernitano assurto al vertice della Confederazione i detrattori di ieri – e qualcuno nuovo di oggi – addebitano un eccessivo attendismo. Figlio di un orfano di guerra, Orazio – cresciuto al Serraglio, il peggior orfanotrofio del Sud Italia, divenuto tipografo per poter bere quel bicchiere di latte quotidiano in più che veniva distribuito agli operai addetti al piombo, resosi imprenditore di successo, comunista da sempre, stampatore di fiducia del Pci nella Campania degli Anni Settanta e del “sorpasso” di Berlinguer sulla Dc – Vincenzo Boccia ha ereditato dal padre una determinazione che sa condurre ai confini della cocciutaggine. Che sia un pregio o un difetto, non si fa intimidire da nessuno. Anzi: la sfida – per esempio, quel voto di sfiducia della una redazione contro un direttore fino a poche settimane prima molto “scellenziato” (espessione napoletana che sta per “ossequiato”) – lo fa “intignare”. E le congiure e le faide interne ai quadri confindustriali lo catalizzano.
Boccia sa bene che nel momento del massimo discredito, sono stati (e sono ancora) massimi – paradossalmente – anche gli appetiti, attorno al Sole. Sa che sia a Milano che a Roma alcuni grandi imprenditori scalpitano per sfilare dalla Confindustria il controllo del giornale: e resisterà.
Vero che il quadro rappresentatogli dall’ex amministratore delegato Gabriele Del Torchio – che ha chiuso con 50 milioni di perdite i conti del primo semestre – era da brivido, tanto che dietro di esso molti hanno letto le voglie di scalata degli imprenditori del Nord, e le controvoglie di quelli romani. Come se quella rappresentazione contabile della crisi fosse strumentale a un disegno di ribaltone. Si fecero nomi di pregio, al riguardo: a Milano Squinzi, Bonomi, Bracco, a Roma Caltagirone & C. Tutte voci, mai confermate, ma molto, molto insistenti.
Impensabile, a prima vista, un simile complotto. Ma al Sole s’è ormai visto di tutto. Nessuno avrebbe mai pensato, ad esempio, che una corazzata editoriale in forte attivo, capace di raccogliere 250 milioni di capitali in Borsa soltanto nove anni fa, sarebbe stata anche capace di mangiarseli, bruciandoli nella crisi di settore, certo, ma anche in un falò di spese pazze ubiquitarie, di promozioni dissipatorie e diversificazioni a perdere. Un falò attizzato grottescamente da un’incessante logorrea autoelogiativa da parte del direttore (avallata con effetto oggi ridicolo dall’ex presidente Benedini!) che si era negli ultimi tempi avvitato – dopo una prima fase di meritorio lavoro di rilancio – in un narcisismo febbrile, surreale, rotolante e incontrastato, al cospetto di una fitta platea di manager, azionisti, amici, clienti e collaboratori mai neppure tentati di annunciare l’evidenza, che cioè il re era nudo.
Vero è anche che oggi la società si calcola perda 3 milioni al mese, tra un costo medio del lavoro dei suoi 1300 dipendenti stellare – 140 mila euro all’anno pro-capite, 200 mila considerando i soli giornalisti – e una serie di spese superflue per prodotti in perdita che dovrebbe essere facile cancellare.
Ma tutto ciò non cancella altri fatti: ad esempio che la rimozione del direttore Roberto Napoletano – chiesta a Boccia dal vecchio capo-azienda Del Torchio e ultimamente anche dal nuovo, Moscetti, e dai giornalisti del quotidiano, con la mozione di sfiducia – è finita con l’essere di fatto “eterodiretta”, cioè decretata dalla Procura, dove il Pm Fabio De Pasquale – lo stesso che illuse e poi deluse sulla possibilità di una scarcerazione Gabriele Cagliari, ex presidente dell’Eni in attesa di giudizio a San Vittore, pochi giorni dopo suicida in cella – il quale ha firmato gli avvisi di garanzia contro due “ex” fatalmente inguaiati (l’ex presidente Benito Benedini e l’ex amministratrice delegata Donatella Treu) e contro Napoletano, sospettato di essere un “amministratore di fatto”.
Dunque la Procura – nella migliore, cioè peggiore, tradizione italiana – ha assunto un ruolo suppletivo di fronte a un vuoto decisionale, corroborata anche dal fatto che un ex Pm prestigioso come Gherardo Colombo, insediato al vertice dell’Organismo di vigilanza della società istituito ai sensi della legge 231, abbia espresso parole di fuoco sulle responsabilità pregresse della cattiva gestione.
E dunque oggi, soffocato l’incendio contro Napoletano – autosospesosi e messo in aspettativa senza assegni con l’interim sostitutivo dato all’ex direttore Guido Gentile – Il Sole aspetta senza alibi per nessuno le prossime scadenze: i conti finali del bilancio 2016, il piano dettagliato di risanamento e rilancio industriale al quale lavora da mesi Moscetti, e il conseguente piano di rifinanziamento, affidato anche alla consulenza dello studio Bonelli Erede per gli aspetti legali e di Vitale & Co per gli aspetti finanziari.
In un’Italia politicamente allo sbando, con una finanza pubblica colabrodo e una ripresa stenta, tifare per il risanamento e la ripartenza trasparente del Sole e della stessa Confindustria è quasi un obbligo di patria.