L’annuncio che quattro governi hanno concordato di dar vita a un progetto comunitario europeo a due velocità, e quindi di desistere dalla strategia federativa complessiva seguendo il metodo funzionalista à la Jean Monnet, ha dello sconcertante. Si rinuncia, infatti, proprio in occasione di un anniversario dell’originario patto europeo, a proporre una via di uscita alla crisi del Vecchio continente fondata su una strategia inclusiva. Trionfa l’esclusione quasi come se si fosse in sintonia antropologica con la strategia di chiusura dinanzi alle ondate migratorie che la crisi mesopotamica e nordafricana hanno scatenato attraverso le rotte mediterranea e balcaniche.
Gli stati balcanici hanno reagito, salvo la Grecia da sempre terra di passaggio, con misure draconiane e con il trionfo politico della destra, mentre l’Italia si è comportata con rara abnegazione, ma rendendo evidente il suo peso pressoché insussistente nella bilancia di potere europeo non vedendo mai accolte le sue richieste di mutamento dello scellerato patto di Dublino, che obbliga il Paese primo ospitante a essere in definitiva quello che imprigiona nei suoi confini le povere anime che ivi vi giungono fuggendo dalla fame o dalla guerra o dalla persecuzione.
Francia, Spagna, Germania e Italia hanno proclamato che le due velocità saranno ormai il fulcro dell’Ue, scatenando le ira delle nazioni un tempo dominate dalle armate sovietiche e ora alla ricerca di una via di crescita che non riproduca il destino di subordinazione che a tali nazioni toccò dopo la Seconda guerra mondiale sino al crollo dell’Urss. Invece il volto dell’Europa che loro appare è assai simile alle forche caudine della burocrazia sovietica.
Il caso di Donal Tusk è inquietante. La Polonia non intendeva candidarlo alla Presidenza del Consiglio europeo, ma gli altri stati, anche l’Ungheria che pure ha un governo più politicamente similmente ispirato a quello polacco, hanno votato per proclamarlo Presidente contro la volontà della sua stessa nazione. Si può ben pensare quale asimmetria di potere un caso simile scateni, divaricando sempre più i meccanismi di legittimazione tra nazioni e tecnocrazia euro-oligarchica e in questo caso grazie non a un volere dei tecnocrati, ma ai rappresentanti della volontà popolare: i governi che si riuniscono per legiferare, non tenendo conto di un potere che, come quello che li legittima, dovrebbe essere fondativo e legittimante.
La cosa grave è che la separazione dell’Europa in due blocchi si delinea senza che si sia risolto il conflitto tra Germania e Banca centrale europea, dove la seconda continua, grazie la lavorio di Draghi e alla maggioranza che egli ha raccolto attorno a sé, a perseguire una politica monetaria non ben accolta dai rigidi monetaristi ordo-liberisti tedeschi. Lo scontro investe anche la stessa Cancelleria Merkel, che è talmente pressata dall’agone elettorale, che pure è assai lontano, da esser sempre più sensibile alle sirene dell’ortodossia monetarista e liberista.
La divaricazione che può aprirsi in Europa è quindi enorme. Le forze politiche che erroneamente son chiamate populiste, mentre in realtà sono neofasciste, neonaziste e antisemite, sono le destre (che pure spesso vanno d’accordo con gli attuali governanti israeliani, come dimostra anche una parte del possibile loro elettorato francese e nordico in funzione anti-islamica..) che avanzano con decisione, mentre le sinistre arrancano sotto il peso di una subalternità all’ ordo-liberalisno che pare suicida. Solo il candidato francese di sinistra Benoit Hamon tenta di resistere con la sua interessante proposta di trasformare l’attuale Parlamento europeo privo di potere in una nuova assemblea fondata sugli esistenti parlamenti nazionali e dotata di fondamentali poteri sostitutivi di quelli della Commissione e del Consiglio secondo i dettami costituzionali classici. Ma Hamon non sembra abbastanza forte da convincere gli stessi francesi ed è quindi assai difficile che possa farlo con le sinistre europee ormai tutte finite nel gorgo di un nazionalismo surrettizio e ignaro del pericolo in cui il Vecchio continente è precipitato grazie alle orde ordo-liberiste.
Nella temperie culturale e morale attuale, di angoscia e di sofferenza di intere generazioni e popolazioni europee, viene alla mente il cosiddetto “dilemma di Bockenforde”, ossia l’interrogativo che un grande intellettuale tedesco si pose qualche decennio fa (esattamente, credo, nel 1976, nel Suo “Staat, Gesellschaft, Freiheit”) sui limiti di legittimazione degli stati liberali secolarizzati, ossia riflettendo sul fatto che i rischi dello stato liberale secolarizzato derivavano e derivano dalla sua stessa libertà costitutiva, quella libertà che può garantirne l’esistenza solo se disciplinata soggettivamente, ossia dall’integrità morale del soggetto e non per via di un disciplinamento autoritativo che può assumere anche il volto della coercizione giuridica. Così facendo ricade allora negli stessi difetti costitutivi degli stati confessionali pre-trattato di Vestfalia, dovendo ricorrere alla coercizione invece che alla libertà per mantenere l’ordine.
L’ordine europeo sta decadendo proprio per questa assenza di interna soggettiva legittimazione. Essa si è perduta quando la razionalità funzionalistica senza legittimità ha sostituito la volontà popolare scatenando il delirio che nasce dall’esclusione. Essa, come il sonno della ragione, genera mostri.
Un bell’anniversario, non c’è che dire.