Archiviate le elezioni olandesi e passati due giorni completi di mercati aperti possiamo registrare un mini-exploit del mercato italiano, ai massimi degli ultimi 14 mesi, mentre sul fronte spread è come se non fosse successo niente; anzi, nelle prime ore di ieri lo spread era in peggioramento rispetto a martedì, prima che le preoccupazioni per un successo di Wilders venissero smentite. Il mercato continua a credere che Macron sia il favorito per le elezioni francesi e le possibilità di una sua vittoria sono salite leggermente, siamo vicini al 65%, ma è come se nessuno si fidasse fino in fondo.



La prova di un certo nervosismo di fondo, nonostante la calma apparente, si è avuta proprio ieri a metà giornata con gli ultimi sondaggi sulle elezioni francesi che segnalavano un leggero aumento delle percentuali di Marine Le Pen al primo turno; il risultato è stato un immediato indebolimento dell’euro. Questo nonostante l’ormai consolidata assunzione che al secondo turno non ci sarebbe storia. Il mercato sa che l’esito elettorale francese è decisivo e non riesce a smettere di pensare all’elezione di Trump e alla vittoria del “leave” al referendum sulla Brexit.



La questione “europea” si pone due livelli diversi per i mercati. Il primo, quello di breve termine, si gioca tra due mesi scarsi in Francia, dove un partito chiaramente anti-euro è dato a più del doppio dei consensi, tra il 25 e il 30%, rispetto a Wilders; è una base di partenza completamente diversa. Il secondo livello, diciamo di lungo termine, è relativo alla crescente convinzione tra gli investitori che nell’attuale costruzione europea e nella valuta comune ci siano dei vincenti e dei perdenti e che certe contraddizioni invece di diminuire stiano esplodendo.

Nella stessa costruzione convivono stati con piena occupazione e con poco debito e altri con disoccupazione al 40% e un debito che non scende mai. Stati che hanno trovato nell’euro un modo per crescere e altri che non ce la fanno. Non bisogna essere “populisti” per chiedersi fino a quanto possa durare. Le elezioni francesi sono un episodio di una storia più lunga in cui la questione di fondo è che anche la Francia, che pure è stata sul ponte di comando, è in notevole difficoltà nell’attuale costruzione. Le discussioni sulle diverse velocità in Europa sono l’ammissione, politically correct, di quello che i mercati vedono da anni e tutti sono in grado di capire quale sia il non detto dietro queste proposte politiche. Il fatto che nessuno sia in grado o voglia dire dove inizi e dove finisca questa differenza di velocità peggiora solo la percezione.



Ipotizziamo pure che Macron vinca come da attese, a distanza di qualche settimana ritornerebbero le stesse identiche discussioni sull’euro che stiamo facendo oggi. Basterebbe che l’Italia fosse costretta a un altro giro di austerity, con le tragiche conseguenze economiche, in un mondo ormai convinto che sia una ricetta chiaramente sbagliata: nella migliore delle ipotesi folle e nella peggiore solamente punitiva in una partita giocata esclusivamente in favore di alcuni stati. Oppure immaginiamo un’Europa in cui a causa di una qualsiasi crisi economica qualcuno sia costretto all’austerity e qualcuno no oppure che certi stati continuino a essere nella condizione di non poter spendere nulla per politiche anticicliche. Le contraddizioni aumenterebbero ulteriormente con prevedibili conseguenze politiche.

Mentre si parla di Francia già si intravede la prossima crisi e tutti i segnali sembrano indicare l’Italia che ha condizioni economiche molto peggiori della Francia e che è molto più grande di una Grecia qualsiasi. Ancora una volta la questione europea non si pone per ragioni “filosofiche”, ma per delle contraddizioni evidenti che nessuno può o vuole risolvere. Le elezioni francesi sono solo la prossima possibile crisi.