Dalla vita prendi quel dilemma uovo/gallina, trasferiscilo nell’economia della crisi, suona pressappoco così: quando la crescita non v’è, gira troppa merce o poco denaro? Sì, perché se la crescita si fa con la spesa, tocca che ci sia tanta merce d’acquistare quanto denaro per farlo.Se, putacaso, i denari sono insufficienti, la merce resta invenduta, l’impresa diventa sovraccapace; per tornare in equilibrio taglia la produzione, i costi, l’occupazione e i salari; ancor meno denaro per fare la spesa, ancor più sovraccapace. Casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra.



Per riparare il danno, a dilemma si aggiunge dilemma: o si riduce la merce d’acquistare, riducendo la crescita della ricchezza ovvero si trovano i denari che occorrono per acquistare quel troppo per fare tutta la crescita possibile. Facile no? Tutt’altro. Dentro queste imprese, gli “animal spirits” che le abitano si nutrono di più fatturato per intascare più utili, altro che taglio della produzione. Per trovare i denari basta sbirciare [] il mutato rapporto capitalizzazione/lavoro tra le attempate imprese di ieri e quelle “digitali” di oggi. Si scorge come il trasferimento della ricchezza disponibile in cassa, attraverso il remunero di quel poco lavoro che resta, sia del tutto insufficiente a far fare tutta la spesa che serve.



Già, lavoro insufficiente, ancorché svalutato per aver fatto quel troppo. Bene, quando con i 52 euro al giorno, il reddito medio degli italiani adulti che lavorano, ci acquisti manco tre tazze di the da Babington’s a Roma e i giovani una e mezzo, hai voglia a spendere. I bassi tassi di occupazione (64, 9% in Eu; negli Usa -3% dall’inizio della crisi) fanno il resto. Ah beh, allora: quando si guadagna, se si guadagna, pressappoco quel-che-serve-per-vivere si dovrà intascare quello che manca per poter acquistare, tutto quel che sta oltre il bisogno, per fare tutta la crescita possibile. Fuori dai denti: solo quel lavoro, che somma alla funzione svolta nella produzione quella svolta nel consumo per smaltire quanto prodotto, rivaluta il ruolo; ripristina dignità vilipese e remunero adeguato. Quando il lavoro manca, per compensare il danno, dovrà trovare remunero quell’esercizio di consumazione. Un reddito di scopo, e che scopo, a chi lavora per fare la crescita! Un reddito insomma che, sommato a reddito, produca altro reddito; ricchezza che acquista e genera altra ricchezza.



Questa la regola che fa girare l’Economia dei consumi. Nell’azienda “Libero Mercato Spa” questo s’ha da fare per non tirare a campare []. A tal dire, Gary North sobbalza, con sconcerto prende e domanda: “Quale servizio produttivo deve aver svolto la persona, che esercita la domanda, al punto da ottenere denaro?”. Beh, Gary, quella domanda fa oltre il 60% del Pil, quindi, per fare la crescita, il domandante viene sottoposto pressappoco a un obbligo a tempo pieno. Riguardo poi al servizio produttivo, con la spesa trasforma la merce in ricchezza, consumando l’acquistato… insomma, il solito refrain. Nel farlo impiega risorse scarse, indi per cui poscia, valore!

I politici intuiscono e, per farsi belli, promettono: reddito di cittadinanza o giù di lì. Ehi, l’esser cittadino non è in sé un esercizio produttivo da dover remunerare; quando questa gente spende lo diventa. Già, chi paga il conto di un tal reddito di scopo? Pantalone, come credono i keynesiani, non può! Ancor meno deve se già fa la spesa che gli spetta: quella pubblica! Quelli invece che vendendo il prodotto guadagnano – che venduto riproducono – che restano così dentro un ciclo attivo – che con la crescita prosperano; quelli, insomma, che dallo scopo della spesa estraggono vantaggio produttivo, quelli invece si.

Sì, agli ancor maggiorenti della “Libero Mercato Spa” toccherà ricapitalizzare quei soci che fanno la spesa mediante….coff coff, un prelievo fatale. No, non sono tasse, ma tosse e quel prelievo non preleva sugli utili; sul profitto, che nell’Economia dei consumi manca di ragione economica, sì! Nel mondo ci sono aziende che già lo fanno; hanno attrezzato business che fanno utili se e quando il consumatore guadagna. Lo giuro, rende!

[1] Una ricerca del 2013 dell’università di Oxford (firmata Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne) stima come il 47% dei lavori negli Stati Uniti sia a un passo dalla sparizione. Le cause: sostituzione con intelligenza artificiale, computer, robot e algoritmi. I due riferiscono: «Oggi le tre maggiori società della Silicon Valley capitalizzano in Borsa 1.090 miliardi di dollari con 137 mila dipendenti, mentre 25 anni fa le tre maggiori aziende manifatturiere americane capitalizzavano in tutto 36 miliardi di dollari impiegando 1,2 milioni di lavoratori».

[2] Dentro l’Economia dei consumi, nella produzione si lavora per guadagnare; nell’esercizio di consumazione si deve aver guadagnato per poter esercitare.