Il 25 marzo ricorrono i sessanta anni dalla firma dei Trattati di Roma con cui iniziò il percorso a 6 verso l’integrazione europea, diventato a 28 e in procinto di scendere a 27. Non mancheranno celebrazioni sia ufficiali, sia organizzate da istituti internazionalisti, enti di ricerca, fondazioni, associazione culturali. In una fase in cui in numerosi Stati dell’Unione europea acquistano peso movimenti “nazional-popolari” che non hanno in simpatia numerosi aspetti dell’Ue, soprattutto la “cooperazione rafforzata” unione monetaria, è naturale che le celebrazioni pongano l’accento sui successi raggiunti e sui problemi in via di soluzione. I cenni di ripresa economica in atto permettono anche di de-enfatizzare il “decennio perduto” 2007-2016 e la prospettiva che alcuni Stati membri torneranno al Pil del 2007 unicamente nel 2024, con gravi costi economici, sociali e politici.



Come in tutte le celebrazioni, verranno indicati tracciati incoraggianti per il futuro e lo stesso percorso dell’Europa a più velocità verrà mostrato non come una strada su cui l’Ue si è già messa da decenni, anche se solo ora sanzionata a livello politico, ma come un metodo per risolvere problemi sul tappeto sia oggi che domani.



Un collega giurista, Dario Ciccarelli, mi ha, correttamente, fatto notare come questa sarebbe stata un buona occasione per fare emergere quel “dibattito proibito” in atto da decenni in punta di diritto ma unicamente in cerchie ristrette di specialisti di diritto internazionale; quindi, un dibattito di cui l’opinione pubblica, e neanche Governi e Parlamenti, sembrano consapevoli: la natura giuridica dell’Ue, soprattutto rispetto all’Organizzazione mondiale del commercio, in un contesto che negli ultimi sessanta anni è cambiato rapidamente e profondamente. Soprattutto da quando il primo gennaio 1995 è entrata in funzione l’Omc, sostituendo il Gatt (General Agreement on Tariff and Trade, Accordo generale sulle tariffe e sui commerci, nato come accordo provvisorio nel dopoguerra per dare una cornice giuridica coerente ai negoziati commerciali multilaterali, il vero motore della crescita mondiale).



L’Europa – lo notava Antonio Tizzano già nel 1973 – aveva preso già allora una deriva giuridica ideologica: “I fautori del primato del diritto comunitario – scriveva – peccano ancora una volta di troppo amore comunitario […], sono ispirati dall’ansia di privilegiare a tutti i costi i trattati europei per farne una sorta di super-trattati di valore inusitato e di forza irresistibile in nome non di rigorose valutazioni scientifiche quanto di apodittiche proclamazioni”.

Più di recente, Sabino Cassese ha scritto: “Fino a un ventennio fa, si poteva a ragione notare l’inadeguatezza del diritto relativo alle organizzazioni internazionali. Ma nell’ultimo quarto di secolo l’ordine giuridico globale ha fatto passi da gigante, per cui il diritto gioca in esso un ruolo determinante […]. Al centro del sistema vi è l’Omc. Attraverso il commercio, questo finisce per regolare – o, meglio, finisce per prestare la sua forza regolatoria – ad autorità diverse, per l’applicazione di regole che riguardano i settori più disparati, dall’ambiente all’agricoltura, alla fauna, alla salute, alla sicurezza alimentare”.

L’attuale Presidente della Corte Costituzionale Paolo Grassi ha sottolineato come “nel diritto della globalizzazione circola una cultura giuridica che, in prevalenza, non è la nostra […]. Da un punto di vista culturale, il vecchio legalismo formalista massicciamente osservato e accuratamente mitizzato nel pianeta di civil law riceve dal contatto coi filoni globalizzatori un respiro più aperto e uno stimolo a parecchi ripensamenti essenziali”. L’Omc con i suoi 164 Stati membri nasce alla cultura del common law che si giustappone a quella del civl law tipica dell’Europa continentale.

Queste citazioni mostrano come in punta diritto ci sia un problema che merita di essere dibattuto in sedi più ampie dei cenacoli giuridici. Non sono questioni di lana caprina, ma hanno importanti implicazioni politiche. In alcuni casi recenti, ad esempio, la Commissione europea (che sin dal 1957 ha, per ragioni pratiche, il compito di negoziare, su indicazione degli Stati, i trattati e gli accordi commerciali internazionali) ha tentato di evitare che tali trattati e accordi non venissero ratificati dai parlamenti nazionali ma dall’Ue (attenzione: il Parlamento europeo non ha potestà di ratifica e quindi sarebbe stata la Commissione medesima a ratificare il proprio operato). Tentativo che è stato respinto dall’Omc e da numerosi Stati nazionali dell’Ue. Ove il tentativo fosse riuscito, l’Ue si sarebbe posta come un super-Stato e i suoi Stati membri come suoi Lander. In questa fase, tale forzatura avrebbe, a mio avviso, l’effetto di incoraggiare le tendenze centripete e favorire le “exit” dall’Ue. Sembra che Bruxelles non ne abbia contezza.