Recentemente l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato le istruzioni per l’applicazione dell’imposta forfettaria ai neo-residenti in Italia (la cosiddetta “flat tax“). Si tratta di una novità introdotta dalla Legge di bilancio 2017, che ha previsto un regime fiscale speciale e opzionale, alternativo alla disciplina ordinaria, a favore delle persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, nel rispetto di certe condizioni (sostanzialmente non debbono essere state fiscalmente residenti in Italia per un periodo di almeno nove anni nel corso dei dieci precedenti l’esercizio dell’opzione).



L’opzione per il regime consente di versare un’imposta sostitutiva con riferimento ai redditi prodotti all’estero (a eccezione di alcune particolari tipologie) e può essere estesa anche ai familiari del soggetto interessato, a condizione che anch’essi trasferiscano la residenza in Italia. La norma è destinata a capitali esteri – e che rimangono tali – di significativa entità. L’opzione può essere esercitata dopo aver ottenuto il via libera da parte dell’Agenzia delle Entrate, può essere revocata ed è valida per 15 anni.



L’imposta è determinata in misura forfettaria annua ed è pari a 100.000 euro, da versare in unica soluzione, mentre per i familiari è ridotta a 25.000 euro. La ratio della norma è quella di favorire l’ingresso di lavoro, capitale e investimenti in Italia, soprattutto in un contesto in cui, da un lato, diversi Paesi, dopo la “Brexit”, stanno prendendo le misure per occupare spazi tradizionalmente anglosassoni; dall’altro, è vitale per il nostro Paese attrarre capitale e incentivare i consumi, visto che le tanto enfatizzate riforme non hanno avuto il risultato sperato. Nel caso dell’Italia, ciò potrebbe essere facilitato dalla forte attrattiva esercitata dalla bellezza naturale e artistica, che, insieme alla buona qualità di vita, ne fanno una meta assai ambita. 



Per questi motivi, si sta pensando a ulteriori forme di agevolazione, semplificando le procedure per ottenere i visti di ingresso e il permesso di soggiorno per chi richiede il trasferimento della residenza fiscale; parimenti i neo-residenti non saranno tenuti all’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale per gli investimenti e le attività detenute all’estero, come previsto dalle regole del monitoraggio fiscale.

Naturalmente, tutto ciò che può far ripartire l’economia è benvenuto, ma non si può non rilevare una certa asimmetria con la situazione finora perseguita dal Legislatore, almeno nei confronti dei propri cittadini. Nel 2011, ad esempio, si introdusse una norma che prevedeva la tassazione ordinaria (in luogo della generalmente più favorevole tassazione separata) sulla quota di indennità di fine rapporto eccedente l’importo di 1 milione di euro (pochi casi): data la situazione emergenziale del momento e la comprensibile rabbia della gente contro liquidazioni milionarie di ricchi banchieri e manager in tempo di crisi, il provvedimento parve sensato, ma oggi stride con le nuove disposizioni in commento. Ad esempio, un milione e mezzo di Tfr liquidato, concorrerebbe alla formazione del reddito complessivo per l’importo di 500.000 euro, generando un’imposta di oltre 180.000 euro, ipotizzando che l’eccedenza indicata esaurisca il reddito complessivo, cosa che ovviamente non si verifica quasi mai.

Così come nel caso dell’istituto della collaborazione volontaria (“voluntary disclosure“), introdotto a fine 2014, che consente a tutti i contribuenti italiani di regolarizzare con il fisco attività finanziarie o patrimoniali e redditi celati (all’estero o in Italia) nel corso degli anni, pagando per intero le tasse, gli interessi di mora e, in misura ridotta, le sanzioni amministrative. E soprattutto il problema del progressivo impoverimento del ceto medio (famiglie e imprese): la spina dorsale del Paese, che ha visto una forte contrazione reddituale per effetto della crisi e di politiche fiscali non accomodanti, data la deteriorata situazione dei conti pubblici.

Sono solo alcuni esempi che, pur nei diversi contenuti, sono indice in fondo della mancanza di una visione di insieme, fattore più che mai indispensabile in campo tributario, per evitare profonde sperequazioni che possono generare lunghi e costosi contenziosi.