Da qualche rottamazione fatta a regola d’arte, i rottamati non possono più riprendersi. Ma quando i rottamatori non sanno neanche rottamare bene, una possibilità di recupero c’è. Ad esempio, le recenti nomine di un 73enne come Tommaso Pompei, bravo però e determinato, al vertice di Open Fiber o della 76enne Bianca Maria Farina al vertice delle Poste dimostrano che la logica da asilo infantile al potere perseguita all’inizio dei suoi mille giorni dal “maleducato di successo” Matteo Renzi sta trovando delle crepe. Ma c’è ben di più che una questione di anagrafe in questa materia. Da più parti, sul mercato italiano del credito, sta prendendo corpo l’idea di ripristinare dal basso quel che si è tentato di abolire dall’alto, con la riforma apodittica e dannosa delle banche popolari italiane. Cioè di trovare un modo nuovo di ripristinare e proteggere lo spirito profondo, e migliore, delle banche popolari: il loro legame con il territorio.
Dell’idea si è fatto autorevolissimo interprete Marco Vitale – economista insigne e grande esperto di tecnica e strategia bancaria – che in un suo intervento di pochi giorni fa se ne è fatto interprete: “Si respira una disponibilità e un bisogno di partecipare a un’opera di ricostruzione sulla base di un progetto che si rivolga, con senso di responsabilità, anche al bene del territorio”, ha scritto Vitale, riferendosi all’azionariato e alla clientela della Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, oggi partecipate dal fondo Atlante, ma prossime a essere ricapitalizzate dallo Stato e quindi fuse: “I vertici delle due banche venete hanno prospettato agli azionisti un parziale ristoro della perdita subita. È una iniziativa corretta e utile. Ma forse non è sufficiente. Essa va sostenuta e accompagnata da una azione che confermi la volontà di salvaguardare il profilo di banca del territorio. Da qui la nostra proposta: si dia vita a una holding partecipata dal fondo Atlante e da due cooperative bancarie (una per Popolare di Vicenza e una per Veneto Banca) con voto capitario, holding che controllerà la Banca SpA che risulterà dalla fusione delle due banche venete; ai soci che si raggrupperanno nelle due cooperative si conceda un significativo ‘warrant’ per permettere ai soci minori di conservare un interesse alla, a mio avviso sicura, rinascita della ‘loro’ banca del ‘loro’ territorio. L’uso del ‘warrant’ per ricostruire il legame con i vecchi azionisti incolpevoli fu abilmente e con successo utilizzato in occasione della rifondazione del Banco Ambrosiano”.
Fin qui dunque la proposta di Vitale – al momento caduta nel vuoto! – che è stato tra gli oppositori più strenui della disastrosa riforma delle popolari varata dal governo Renzi per dare in pasto ai fondi internazionali, per di più gratis, il controllo di alcune tra le più importanti banche del Paese, aderendo così agli auspici di un po’ di moloch della cosiddetta finanza internazionale come Davide Serra e i suoi referenti nei paradisi fiscali di mezzo mondo. Ma c’è dell’altro. C’è l’encomiabile resilienza dimostrata dalla Banca popolare di Bari che, giorno dopo giorno, è riuscita a costruirsi – nonostante i “buffi” ereditati dall’acquisizione della Tercas, fatta per ordine della Banca d’Italia: quasi 2 miliardi di sofferenza – un percorso decente verso l’utile di bilancio. E che oggi fa sapere ai suoi numerosissimi soci che sta completando tutte le attività necessarie a pervenire alla quotazione del proprio titolo azionario sul sistema multilaterale di negoziazione Hi-mtf, gestito dalla omonima società, la cui proprietà fa capo ad alcune primarie istituzioni finanziarie. È questo un passo importante verso una maggiore liquidabilità del titolo in virtù della più ampia potenzialità di partecipazione di soggetti al mercato. L’avvio della quotazione sul nuovo mercato è previsto entro il primo semestre.
Insomma, la Bari – pur senza diventare Spa – si quota di fatto in Borsa, sia pure su un mercato diverso dal classico listino di piazza degli Affari, dando modo ai suoi soci di scambiarsi i titoli e al valore dell’azione di emergere… Anche questa mossa è un passo avanti importante per la popolare barese, che peraltro è fresca reduce da quello straordinario successo che è consistito nell’aver impacchettato e realizzato al 30% del valore nominale – quasi il doppio di quel che solitamente viene riconosciuto in operazioni simili – grazie alla garanzia dello Stato, la Gacs. Ed è ancora lo Stato che deve quanto prima troncare gli indugi e ricapitalizzare, con le riforme stanziati dal governo col cosiddetto decreto salva-risparmi, le due banche venete in odore di fusione. Anche perché – come ha ben lasciato capire Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Anci – è chiaro che la moral suasion a intervenire con Atlante alle grandi banche del Paese è stata data dalla Banca d’Italia che favoleggiava di rendimenti annui a dir poco pingui dell’ordine del 5%. Macché!
Chissà se di tutto questo hanno parlato ieri il ministro Pier Carlo Padoan e la commissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager, che deve autorizzare l’intervento pubblico delle banche senza bloccarlo col veto europeo. A noi cittadini, intanto, tocca votare. E chiunque sappia che riformando le popolari si è voluto in realtà complicare la vita ai cittadini onesti, voti coerentemente.