Nel mio articolo di ieri vi parlavo della principale criticità che incombe sul sistema bancario europeo, ovvero il nodo dei non-performing loans iscritti a bilancio degli istituti e che occorre scaricare in qualche modo. Vi davo conto, inoltre, del rischio maggiore che corriamo: ovvero, che l’Eba ottenga il via libera dalle autorità europee per il suo piano Tarp per l’eliminazione delle sofferenze attraverso un sistema di garanzie statali sugli assets degli istituti che verranno ceduti a un soggetto di management chiamato a rivendere quegli incagli a soggetti stranieri nell’arco di tre anni dalla loro acquisizione. Il nodo, ovviamente, è il prezzo a cui vengono acquistati gli Npl e quello a cui vengono poi ceduti: nei piani dell’Eba, l’eventuale differenza – ovvero la perdita per le banche – sarà coperta da denaro pubblico attraverso le garanzie statali. Ovvero, dai contribuenti. 



Nemmeno a farlo apposta, lunedì sera la Bce ha reso nota una guida dettagliatissima proprio sul tema dei crediti deteriorati, un documento atteso dai mercati e che contiene le linee guida definitive che le banche dovranno seguire per smaltire nella maniera più efficace il fardello di quasi 1.000 miliardi lordi di Npl, un terzo dei quali a carico dei nostri istituti. Nulla è lasciato al caso: dal numero di telefonate da fare ai debitori per recuperare i crediti all’indicazione della “giusta” governance per l’efficace gestione degli Npl, dalle modalità di valutazione dei crediti al suggerimento sulla frequenza con cui i periti dovrebbero valutare le garanzie. 



Rispetto alle linee guida pubblicate lo scorso novembre, le quali erano preliminari e sono state seguite da un lungo processo di consultazione, l’Eurotower ha aggiunto alcuni dettagli sulle operazioni di trasferimento del rischio degli Npl e sui requisiti di valutazioni delle garanzie (che si riferiscono soltanto ai crediti deteriorati e non alle esposizioni in bonis). Ma l’aggiunta più rilevante, ciò che ieri ha fatto brindare il mercato, è quella relativa ai tempi di attuazione: il documento avverte infatti che le linee guida sono «applicabili a partire dalla data di pubblicazione», ovvero lunedì, ma, nello stesso tempo, Francoforte rassicura gli intermediari (e tra questi molte banche italiane che presentano un livello di Npl ben oltre la media) riconoscendo che il processo di confronto con la Vigilanza «in alcuni casi potrebbe avere bisogno di tempo per la sua piena realizzazione».?Un modo, insomma, per ammorbidire la perentorietà di un impegno che, allo stato attuale, «non ha valore vincolante», ha confermato la Bce. 



Stando al documento, spetta agli istituti stessi fissare tempistiche realistiche che siano anche «ambiziose e individuare opzioni appropriate a livello di portafoglio». Ma ciò che più conta è che nella scelta della modalità le banche avranno a disposizione più opzioni, dove la cessione di crediti è solo una delle strade percorribili: tra le altre possibilità rientrano, ad esempio, «il recupero, la cessione o la cancellazione degli Npl oppure l’escussione delle garanzie». In questo senso, la Bce sembra aver accolto l’invito proveniente dalle stesse banche italiane, guidate dall’Abi, per una gestione meno drastica (e più impattante) del problema legato alle sofferenze. Ma come vi ho mostrato ieri, quello delle sofferenze è un problema che colpisce principalmente i cosiddetti Piigs, mentre la Germania e il resto dell’Europa core sono al di sotto – spesso molto – del 5% di incidenza sul totale dei prestiti, quindi assolutamente in grado di derubricare questa dinamica a un non problema. O, quantomeno, a una non priorità. 

Sarà un caso, ma ieri mattina, quando i giornali finanziari riportavano la notizia del documento e le piazze europee festeggiavano la boccata di ossigeno, Handelsblatt lanciava come al solito un assist al ministero delle Finanze tedesco e una stoccata dolorosa proprio alla Bce: citando un report parlamentare, il quotidiano economico tedesco rendeva noto che stando alla German Federal Court of Auditors, la European Court of Auditors non sarebbe in grado di porre in essere una revisione estensiva delle funzioni di supervisione bancaria della Bce. Di più, l’organismo di vigilanza tedesco, in un report consegnato al Comitato per il budget del Parlamento tedesco, ha sottolineato come la Germania dovrebbe esplorare tutte le opzioni per colmare questo gap di supervisione da parte dell’Eurotower. 

Qual è la critica mossa dai tedeschi? Molto simile a quella che sempre più membri del Congresso Usa sembrano muovere verso la Fed: se prima della cessione di poteri dalla Bundesbank alla Bcein tema di sovrintendenza bancaria nel 2015, il regolatore bancario tedesco sottostava ad audizioni molto serie e approfondite al riguardo, altrettanto non si può dire nei confronti della Banca centrale europea. Da qui, la richiesta di colmare in gap in atto, utilizzando tutte le opzioni di cui il governo tedesco è in possesso. Questo anche perché la European Court of Auditors ha l’autorità di revisionare l’efficienza della Bce solo in termini di personale e budget, non riguardo le decisioni che assume n qualità di supervisore del sistema bancario e quindi, per le autorità tedesche, questo si configura come una mancanza di controllo e una limitazione del potere di auditing. 

La Bce, forse colta di sorpresa, ha immediatamente pubblicato un comunicato nel quale sottolineava come la European Court of Auditors abbia «compilato un considerevole numero di documenti e spiegazioni disponibili a tutti», ma il nodo resta: se la Germania arriva al paradosso di fustigare la pochezza di trasparenza di supervisione della Bce, quando il suo mantra è sempre stato quello di rivendicare l’indipendenza della Bce, significa che la battaglia in corso è di quelle campali. Ovvero, non tutte le banche europee possono salvarsi dall’enorme purga in arrivo: e, lasciatemi pensare male, con Deutsche Bank impegnata in un aumento di capitale da 8 miliardi talmente complicato da essere offerto al mercato in prima battuta già al 35% di sconto, forse sarà proprio il nodo degli Npl a diventare dirimente e a perdere carattere prioritario, almeno nei desiderata di Berlino. Difficile, altrimenti, spiegare il timing sospetto tra il documento della Bce dedicato alle sofferenze e la sparata tedesca riguardo la scarsa supervisione della Bce sul sistema bancario, di fatto un’accusa indiretta quando si chiede maggiore trasparenza all’Eurotower rispetto alle sue scelte. 

Perché ritengo così importanti queste mosse tutte politiche e sotterranee? Semplice, perché le guerre si combattono così. E sempre ieri, attorno all’ora di pranzo, ecco che la Reuters rilanciava un sibillino comunicato di Mps. Eccolo: «L’ispezione on site della vigilanza della Bce sui crediti al Monte dei Paschi di Siena iniziata lo scorso maggio è terminata a febbraio e servirà anche per valutare la solvibilità della banca senese». La precisazione è contenuta nella relazione al bilancio, dove Mps stessa spiega che questa ispezione ha riguardato «la classificazione dei crediti, i livelli di copertura e la valutazione delle garanzie dei crediti deteriorati, con riferimento alla data del 31 dicembre 2015». Stranamente, il comunicato è stato pubblicato in contemporanea quasi perfetta con l’incontro a Bruxelles tra il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan e la Commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, per discutere proprio le richieste di ricapitalizzazione precauzionale di Mps e quelle delle due banche venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, di cui vi ho parlato ieri: la Commissione Ue sta discutendo questi dossier con le autorità italiane e con la Bce e non ha ancora dato il via libera. 

Per finire, la banca senese rendeva noto nel comunicato che non aveva ancora ricevuto comunicazione degli esiti definitivi dell’ispezione dell’Eurotower. Tutto torna, che combinazione! Cosa significa quanto comunicato da Rocca Salimbeni? Che, di fatto, gli ispettori sono andati a vedere nei crediti del Monte dei Paschi in maniera analitica, per valutare solvibilità dei debitori e consistenza delle coperture e garanzie reali. E, a tutt’oggi, quella solvibilità di Mps deve essere ancora valutata, stante l’assenza degli esiti dell’ispezione on site. E se quegli esiti tramutassero i 20 miliardi messi a garanzia dal governo in una goccia nel mare dei bisogni di Mps e delle due venete, come reagirebbe il mercato? Dove finirebbe il nostro spread, se per caso quella cifra dovesse essere aumentata a 25 o 30 miliardi? D’altronde, la Germania è stata chiara: il livello di supervisione bancario della Bce è sotto scrutinio. Saranno i conti reali di Mps a far finire questa messa in discussione dell’operato di Francoforte?