David Stockman non le manda a dire, fa i conti: “Nel 1994 c’erano circa 36,166.37 miliardi di euro di debito nell’economia di tutto il mondo, questa cifra ha raggiunto gli 76,853.53 miliardi nel 2000, poi è scoppiata a 180,831.83 miliardi nel 2014. Cioè, in appena due decenni il debito mondiale è aumentato del 5X. Sempre nel 1994 il Pil mondiale era di circa 22,603.98 miliardi di euro e il suo valore nominale oggi è nel range dei 63,291.14 miliardi. Il Pil è cresciuto solo di 40,687.16 miliardi negli ultimi due decenni, o solo il 28% rispetto alla supernova del debito da 144,665.46 miliardi”. Urca, la resa produttiva di quel debito, fatto per fare la crescita: pah!
A giudicare dal sovrapprodotto che si mostra in giro [], fino alle città fantasma cinesi, non è un bel mostrare. Il concomitante avviarsi di un processo “europeo” di sostituzione di lavoro permanente e garantito con lavoro temporaneo e a garanzie (legali e di welfare) ridotte non aiuta. L’avviarsi di una più che generosa deflazione salariale a braccetto con l’aumento della disoccupazione lo raccontano; l’impoverimento lo conclama.
L’aumento della povertà, sia relativa che assoluta, la mostrano quelli del Centro studi Confindustria: riferendo dati, elaborati nel 2013, evidenziano come in 5 anni di crisi la fetta della popolazione più disagiata sia cresciuta del 4,3%. “Un cittadino europeo su quattro è a rischio povertà ed esclusione sociale. In tutto sono 122,6 milioni le persone che nel Vecchio continente hanno un reddito pari o inferiore al 60% del reddito medio dei propri compatrioti o soffrono una forte deprivazione materiale o vivono in una famiglia dove in media gli adulti lavorano meno di un paio di mesi l’anno”.
Orbene, quelli che sanno dicono che, per rimettere in sesto i cocci, tocca smaltire il debito, le sovraccapacità, la disoccupazione; per farlo occorre disporre della crescita economica. Or male: quei signori dimentichi di come la crescita si faccia con la spesa, che per farne tanta occorra acquistare ben oltre il bisogno, non s’avvedono dell’illecito economico a cui viene costretto il bisognoso. Già, occorre dare norma a tal misfatto e pena di pubblico ludibrio a chi, abbiente invece, si mostri renitente a far la spesa.
Una norma resistente alle farragini che alterano il meccanismo di formazione dei prezzi nell’economia di mercato. A fronte, un’imperitura epigrafe: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera”.
[1] Mauro Artibani. La domanda comanda: verso il capitalismo dei consumatori, ben oltre la crisi. Aliberti editore, pag. 130.