Oggi Theresa May attiverà l’articolo 50 e darà via ai negoziati per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Non è chiaro come e quando il Regno Unito uscirà dall’Ue perché l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona da parte di un Paese membro è una prima assoluta e perché l’articolo non è particolarmente dettagliato. I negoziati potrebbero durare anche più di due anni nonostante, in teoria, il termine finale sia ad aprile 2019; il fatto che ogni Paese europeo abbia il diritto di veto sui termini delle negoziazioni rende il processo particolarmente complicato. È probabile che le trattative siano guidate, per l’Europa, da uno dei suoi commissari.
Secondo la “vulgata” la Brexit è stata una scelta economica suicida per la Gran Bretagna votata da persone che non erano in grado di comprendere quello che facevano; alla fine il Regno Unito pagherà salatissime conseguenze e si pentirà amaramente. Se queste sono le premesse, nei mesi dei negoziati tutto questo è destinato a venire a galla. Dal giorno del referendum nessuna delle previsioni terribili sull’economia inglese si è avverata e, anzi, la banca centrale inglese due mesi fa è stata “costretta” a rivedere al rialzo le previsioni sul il del 2017; la “Brexit” non c’è ancora e quindi per ora le previsioni di pessimistiche sul futuro inglese sono ancora valide, però possiamo dire che nessuno si è ancora spaventato, nemmeno dopo tre trimestri.
Una scelta di questo tipo come la Brexit non si può misurare in trimestri e nemmeno forse in qualche anno. ma ha un orizzonte temporale di medio lungo periodo. La Gran Bretagna si è staccata da un’area che non solo ha palesi problemi di “governance”, e di rappresentanza dei suoi membri, ma anche chiarissimi problemi di crescita; l’Europa è l’area del mondo che cresce di meno anche rispetto ad altre economie sviluppate. La scommessa dell’Inghilterra è che potrà fare meglio al di fuori e senza l’Europa potendo scegliere autonomamente cosa e come negoziare con le controparti economiche e come governare la propria economia. Visti i successi europei sulla crescita e sull’immigrazione, con gli accordi miliardari con la Turchia di Erdogan, si deve almeno ammettere che il tentativo non sia poi così incomprensibile.
È ancora più di scuola l’opinione che Bruxelles darà una lezione a Londra per colpa della Brexit con i nuovi accordi economici e commerciali, forse perfino per scoraggiare chi si facesse venire strane idee al suo interno. L’Europa ritroverebbe un’unità proprio nelle trattative contro un partner “nemico” comune da cui si deve tutelare. Questa assunzione sembra tutto tranne che scontata. Il Regno Unito è un mercato grande, molto ricco e molto appetibile per tante imprese europee di tanti settori diversi. La questione che si porrà è che ci sarà un’unica trattativa e un unico negoziato con la Gran Bretagna, mentre in Europa ci sono esigenze e priorità molto diverse.
L’Italia non esporta in Inghilterra le stesse cose della Germania e la Francia, non ha 800 mila polacchi di nascita che vivono oltre la Manica. Se la Gran Bretagna scegliesse di essere “cattiva” con gli immigrati europei come posizione negoziale, qualcuno sarebbe molto scontento, i polacchi e probabilmente gli italiani, e qualcuno altro indifferente; se le barriere colpissero il prosecco e non le macchine qualcuno sarebbe molto scontento, gli italiani, e qualcuno no. I negoziati con la Gran Bretagna sono un’occasione per l’Europa solo se questa è unita e solo se questa si pone l’obiettivo di tutelare gli interessi di tutti, altrimenti rischiano di essere un altro fronte caldo aperto tra i Paesi membri; avere in mano il pallino delle negoziazioni dal lato europeo è un valore evidente se si danno le carte e si può decidere chi paga tanto e chi paga meno.
Vista la storia degli ultimi anni, sinceramente non riusciamo a capire le ragioni di così tanto ottimismo per una fase così delicata.