È realistica la promessa del nuovo piano d’impresa di Alitalia di tagliare i costi aziendali di un miliardo in poco più di due anni e mezzo? È davvero possibile ridurre i costi totali di una quota così elevata, apparentemente tra il 25 e il 28%, in così poco tempo? In realtà, gli azionisti di Alitalia potrebbero fare molto di più: se chiudessero del tutto l’azienda risparmierebbero oltre tre miliardi e mezzo. Ovviamente in tal caso non realizzerebbero alcun ricavo, ma eviterebbero tutte le perdite a loro carico. Invece la collettività sarebbe chiamata a spendere molti soldi in più per la protezione sociale necessaria a tutelare i 12 mila dipendenti rimasti senza lavoro. La chiusura di Alitalia si tradurrebbe in sostanza in un grande disastro sociale, anche se dal punto di vista del solo trasporto aereo i passeggeri lasciati a terra dall’ex vettore di bandiera sarebbero presto presi a bordo da altre compagnie a prezzi molto probambilmente minori.



È possibile ridurre drasticamente e in breve tempo i costi di un’azienda solo tagliando drasticamente l’azienda stessa, restringendone radicalmente il perimetro. Questo in Alitalia si è già verificato nel 2009, quando i “capitani coraggiosi” di Cai subentrarono alla vecchia gestione pubblica. Per comprendere se il nuovo piano di Alitalia ha qualche possibilità di produrre effetti positivi per l’azienda conviene andare allora a rivedere gli effetti di quel drastico taglio. 



La nuova azienda Alitalia-Cai ebbe nel 2009 costi operativi complessivi per quasi 3,2 miliardi di euro, mentre la vecchia Alitalia statale aveva sostenuto nel 2007, l’anno antecedente la crisi che portò alla liquidazione, quasi 5,2 miliardi di costi totali. Il taglio dei costi realizzato da Colaninno e Sabelli fu pertanto di due miliardi esatti in un solo anno di gestione, quasi il doppio del taglio promesso da Cramer Ball nell’intero triennio 2017-19. Tuttavia una conseguenza fastidiosa che si ha quando le aziende vengono ridimensionate è che accanto ai costi si riducono anche i ricavi e il gioco vale la candela solo se la riduzione dei primi è molto più consistente di quella dei secondi. Quale fu all’epoca la dinamica dei ricavi conseguente ai tagli di Cai? Nel 2009 i ricavi operativi della nuova Alitalia si fermarono poco al di sotto di 2,9 miliardi, mentre nel 2007 si erano attestati poco al di sotto dei 4,9 miliardi. Anche in questo caso il calo è stato di quasi due miliardi. 



Il saldo negativo della gestione industriale è rimasto pertanto invariato: circa 300 milioni nel 2009 contro 310 nel 2007. Il gioco non è pertanto valso la candela: nell’ultimo anno della vecchia Alitalia statale i ricavi operativi coprivano il 94% dei costi operativi, mentre nel primo anno dell’Alitalia privata il grado di copertura fu solo del 90,6%. Si può obiettare che il primo anno di Alitalia-Cai fu molto difficile, con gli aerei che viaggiavano semivuoti anche per effetto delle alte tariffe praticate in un mercato domestico nel quale il nuovo vettore aveva assunto un ruolo di monopolio su molte rotte a seguito dell’assorbimento di AirOne. In effetti i due anni successivi andarono molto meglio e nel 2011 Alitalia quasi conseguì il pareggio operativo.

Ma il ridimensionamento di Alitalia, voluto dal piano Fenice ha prodotto nel tempo effetti indesiderati che erano peraltro prevedibili e che a suo tempo proprio su queste pagine avevo avuto occasione di anticipare in un articolo di inizio settembre 2008 intitolato “Un piano che chiude il 60% della compagnia perdendo 12 milioni di passeggeri”. Scrivevo allora quanto segue: “La nuova Alitalia potrà trasportare al massimo 21 milioni di passeggeri contro gli oltre 31 trasportati complessivamente nel 2007 da Alitalia e da AirOne. In sostanza 10 milioni di passeggeri, ma più probabilmente 12, non potranno volare nel 2009 sulla nuova Alitalia nonostante abbiano dimostrato in passato di essere disponibili a pagare tariffe non propriamente da compagnie low cost. Si tratta di oltre il 10% dei passeggeri che viaggiano sui cieli italiani e di oltre il 25% dei passeggeri che viaggiano su rotte nazionali… I 10 o 12 milioni di passeggeri lasciati a terra dalla nuova Alitalia non corrono ovviamente il rischio di doversi accampare nelle sedi aeroportuali qualora venga data la possibilità al mercato di funzionare liberamente, riassegnando con immediatezza gli slot lasciati liberi dalla nuova Alitalia. In tal caso sarà Mr. O’Leary di Ryanair o qualche suo collega a pensarci ma se gli verrà data la possibilità di farlo la nuova Alitalia non andrà mai in attivo”.

Questo è esattamente ciò che è avvenuto negli anni successivi. Gli spazi lasciati liberi nell’offerta da Alitalia-Cai sono stati rapidamente colmati dai vettori low cost, i quali hanno in tal modo accresciuto la pressione competitiva su Alitalia. Nel 2007, ultimo anno pieno della vecchia gestione pubblica, la quota di mercato delle compagnie low cost era già superiore al 40% sui voli di linea internazionali infraeuropei, ma ancora limitata al 16% su quelli domestici. Negli anni successivi è rapidamente cresciuta sino ad arrivare al 52% sui voli domestici e al 58% su quelli europei (come si vede nel grafico 1). 

Grafico 1 – Quota di mercato dei vettori low cost in Italia 

(Passeggeri trasportati dai vettori low cost in % dei passeggeri totali sui voli di linea)

Fonte: elaborazioni su dati Enac, Dati di traffico, vari anni.

Il risultato è stato una rapida discesa dei prezzi medi, soprattutto dal 2013 in avanti, che ha portato a una drastica riduzione dei ricavi di Alitalia, principalmente sul mercato domestico, e a un peggioramento considerevole del già negativo margine industriale. Nel 2009, primo anno di gestione Cai, Alitalia ha conseguito sul mercato domestico poco meno di 1,6 miliardi di ricavi, corrispondenti a 112 euro per passeggero. Nel 2015 i proventi del segmento sono scesi a 750 milioni, corrispondenti a 63 euro per passeggero. Pertanto il valore del segmento si è più che dimezzato nel periodo e il prezzo medio per viaggiatore è diminuito del 44%. 

Queste dinamiche hanno determinato effetti dirompenti sul conto economico. Nel 2015, ultimo anno di cui è noto il bilancio, Alitalia ha registrato ricavi operativi per poco meno di 3,2 miliardi e costi operativi per poco meno di 3,6 miliardi, con un risultato negativo di 420 milioni (grafico 2). I ricavi operativi hanno pertanto coperto solo l’88% dei costi operativi, contro il 94% del 2007, l’ultimo anno a gestione statale piena della vecchia Alitalia. Fonti giornalistiche sostengono che il 2016 sia andato anche peggio. Nel complesso della gestione privata di Alitalia, dal 2009 al 2015, i ricavi operativi complessivi sono stati pari a 24,1 miliardi, corrispondenti al 94% dei 25,6 miliardi di costi operativi. La perdita industriale complessiva è stata pertanto di 1,5 miliardi e quella totale di bilancio molto più elevata. 

Grafico 2 – Valore produzione e costi operativi di Alitalia 

(Miliardi di euro)

Fonte: elaborazioni su dati di bilancio Alitalia.

Come si può osservare dal grafico 3, la redditività industriale di Alitalia è andata peggiorando nell’ultimo triennio per il quale sono noti i bilanci e il 2015 è risultato l’anno peggiore dal 2003 in avanti, con esclusione del 2004, anno nel quale vi fu una rilevante crisi aziendale. Nulla fa pensare che il 2016 sia andato meglio dell’anno precedente.

Grafico 3 – Risultato operativo di Alitalia 

(in % del valore della produzione)

Fonte: elaborazioni su dati di bilancio Alitalia.

È a partire da questi valori molto problematici che occorre valutare l’attendibilità dei pochi dati relativi al piano d’impresa resi noti da Alitalia. Il piano d’impresa intende ridurre la forza lavoro di oltre 2 mila unità su un totale che non arriva a 12 mila, dismettere dalla flotta 20 aerei a medio raggio su circa 100 totali a breve-medio raggio e ridurre di una quota consistente il costo del lavoro del personale navigante. Quanti costi si possono risparmiare con questi provvedimenti? 

Dato che i costi totali dell’offerta di breve-medio raggio sono stimabili in circa 2 miliardi annui, nell’ipotesi di un risparmio proporzionale alla quota di flotta tagliata, che è comunque un’ipotesi molto ottimistica, esso ammonterebbe a circa 400 milioni. Considerando anche i tagli del costo del lavoro del personale di volo restante si può ipotizzare un tetto ai risparmi ragionevolmente realizzabili di 450 milioni. A tale cifra vanno aggiunti i maggiori ricavi conseguibili incrementando le ore di utilizzo della flotta restante e il load factor dei voli. Riguardo a questo aspetto non appare ragionevole ipotizzare un incremento superiore al 15% dei ricavi generati dalla flotta destinata a rimanere operativa nell’area, dunque non più di 200 milioni su circa 1,3 miliardi. Pertanto possiamo assumere 450 milioni di minori costi e 200 milioni di maggiori ricavi nel segmento del breve-medio raggio, con un effetto complessivo di miglioramento del conto economico pari a 650 milioni. 

Si tratta tuttavia di un effetto lordo dato che a tale cifra occorre sottrarre i mancati ricavi dei voli non più effettuati dai 20 aerei dismessi dalla flotta operativa. Se col 20% di flotta in meno nel segmento è ragionevole ipotizzare un calo dei ricavi del 20%, ecco che occorre mettere in conto almeno 300 milioni in meno, i quali riducono a 350 milioni gli effetti netti di miglioramento del conto economico che possono essere ragionevolmente attesi in base alle informazioni rese note sul nuovo piano industriale.

Sin qui non abbiamo parlato del lungo raggio, sul quale sono previste nuove macchine nei prossimi anni. Al riguardo bisogna tuttavia dire che l’apertura di nuove rotte, resa possibile dalla disponibilità di ulteriori aeromobili, non è immediatamente remunerativa, ma richiede diverso tempo dall’investimento iniziale. Molto difficile pertanto che il nuovo aereo a lungo raggio in arrivo nel 2017 e quello previsto nell’anno successivo possano generare margini positivi significativi nel primo triennio del piano d’impresa; è invece certo che i nuovi aerei annunciati per il terzo anno non potranno farlo. Il lungo raggio non potrà pertanto contribuire in maniera rilevante entro il 2019 al miglioramento del conto economico di Alitalia, il quale dovrà contare quasi esclusivamente sul riequilibrio tra costi e ricavi del breve-medio. 

Ma come si confronta la nostra previsione di un miglioramento massimo di 350 milioni, tra minori costi e maggiori ricavi, e le cifre indicate da Alitalia in minori costi per un miliardo e maggiori ricavi per 800 milioni? Intanto per essere minimamente plausibili le ultime due cifre, la cui somma è di 1,8 miliardi, non possono che essere riferite al totale di effetti attesi nell’intero triennio e non a quelli di un singolo esercizio (anche se il comunicato stampa dell’azienda non è chiaro al riguardo). Pertanto per essere confrontabile con quello dell’azienda il nostro dato di 350 milioni, che è su base annua, deve essere moltiplicato per quasi tre volte (essendo il primo trimestre 2017 già trascorso) e diviene pari a un miliardo. In sintesi un miliardo dell’1,8 indicato da Alitalia sembra essere alla portata, pur con uno sforzo non indifferente, ma il resto non lo è. In sintesi, il nuovo piano industriale di Alitalia è in grado di produrre effetti positivi sul conto economico, ma essi saranno lontani dal risultare risolutivi e l’azienda è ancora destinata a perdere soldi.