Ha senza dubbio ragione Paolo Annoni, nel suo recente articolo su queste pagine, a indicare anche motivi politici alla base dello stop alla fusione tra il London Stock Exchange e la Deutsche Boerse. Questi aspetti politici, insieme a quelli più prettamente industriali, sono indice del momento di travaglio che sta vivendo l’Europa. Come scrive Annoni, diversi precedenti tentativi di acquisto o fusione erano falliti e l’accordo dell’anno scorso, definito dai protagonisti una “fusione tra uguali”, era stato accolto con una certa sorpresa, forse maggiore a quella attuale sulla possibilità dell’ennesimo fallimento.



Sotto il profilo industriale la fusione presenta diversi aspetti problematici, soprattutto circa il peso da attribuire ai due “uguali” nelle decisioni e nelle operazioni, oltre che nella scelta della sede principale. La fusione, però, è probabilmente apparsa come l’unica strada per resistere ai colossi americani, ma anche asiatici, nei confronti dei quali le due Borse, grandi per le dimensioni europee, separate diventano troppo deboli.



Per rispondere alle richieste di Bruxelles, Lse si era già dichiarata disposta a cedere parte delle sue attività francesi e sembrava tutto appianato per una decisione positiva prevista per l’inizio di aprile. Invece, a metà febbraio la Commissione europea ha chiesto anche la cessione della partecipazione del 60% nell’Mts, la piattaforma della Borsa italiana sulla quale vengono scambiati i titoli di Stato europei. In un comunicato della fine febbraio, il Gruppo Lse definisce la richiesta eccessiva, difficile da realizzare, anche per supposte resistenze delle autorità italiane, e lesiva degli interessi del Gruppo. In breve, un secco rifiuto, seguito da rassicurazioni sull’intenzione di portare avanti il progetto, che hanno avuto un riscontro parallelo in analoghe dichiarazioni tedesche.



È possibile che Londra abbia usato Mts come un alibi per ritirarsi da un affare ritenuto non più vantaggioso, ma secondo un interessante articolo apparso su Seeking Alpha, l’Italia rappresenta il 20% del fatturato Lse, seconda ovviamente al Regno Unito (56,6%), ma davanti agli Stati Uniti (11,8%) e alla Francia (6,3). Questi dati proverebbero l’importanza della Borsa italiana e potrebbero giustificare le resistenze londinesi.

Gli analisti sembrano piuttosto scettici sul futuro della fusione, perché le richieste della Commissione esasperano difficoltà già presenti, alle quali si è ultimamente aggiunta la possibilità di incriminazione del capo della Deutsche Boerse per insider trading. Sono quindi già iniziate le analisi sulle possibili conseguenze per le due Borse se ritornassero “single”. Entrambe le società sono sane, con conti in ordine e buona profittabilità, ma, come ancora una volta dice Annoni, in questo settore occorre pensare al lungo termine. Qui le prospettive appaiono più ricche di occasioni per Lse, già in passato “oggetto di desiderio” di società americane, vedasi la ventilata ipotesi di fusione con il Nasdaq. La Deutsche Boerse non sembra preoccupata di dover continuare da sola, almeno in base alle dichiarazioni ufficiali, e per qualche commentatore tedesco sarebbe perfino la soluzione migliore, ritenendo la fusione con Londra vantaggiosa soprattutto per gli inglesi.

Qui si inserisce il livello politico, perché l’impressione è che la perdita di sovranità collegata alla fusione sia sentita in modo più negativo dai tedeschi, che forse considerano più adeguato al loro ruolo di leader europeo il rimanere da soli. La futura uscita del Regno Unito dall’Ue in seguito al referendum sul Brexit ha accentuato queste sensazioni e ha probabilmente influito anche sulla “stretta” della Commissione europea. In questo prospettiva si è vista come da evitare anche la dipendenza dello Mts da uno Stato al di fuori dell’Unione. Sull’altro versante, malgrado l’accordo con la Borsa tedesca, molte istituzioni finanziarie avevano già minacciato di lasciare la City in caso di uscita dall’Unione, minando per Londra la validità della fusione, almeno per questo aspetto.

Come detto, per Lse sono prevedibili altre offerte, si parla anche della Borsa giapponese, e non è improbabile una ripresa di rapporti più stretti con gli Stati Uniti anche su un piano più generale, favoriti dalla politica degli accordi bilaterali sostenuta da Donald Trump. E l’Italia rischia, come spesso accaduto, di diventare merce di scambio negli altrui affari.