L’Europa comincia a guardarsi allo specchio, dopo mesi in cui ha finto di non voler fare i conti con le criticità che emergono sempre più palesi e stridenti. E se il nostro spread, nonostante le tensioni politico-giudiziarie in atto, resta placido in area 180 punti base, sintomo che la vigilanza Bce resta forte (anzi, ancor più rafforzata), ieri le Borse europee si confermavano deboli al giro di boa della metà giornata di contrattazioni, zavorrate da questioni macro e dall’attesa per il consiglio direttivo della Banca centrale europea, che si riunirà giovedì. 



Nella riunione verrà infatti messa sotto la lente d’ingrandimento proprio la situazione macro della zona euro, dove l’inflazione a febbraio è balzata al 2%, anche se spinta prevalentemente da energia e alimenti. Nonostante si finga che il problema non esista, in realtà questo dato potrebbe indurre i falchi del consiglio direttivo a chiedere una revisione della politica monetaria ultra-accomodante dell’Eurotower. Per gli esperti, solidi dati macroeconomici e un eventuale tono meno da colomba da parte della Bce nella riunione di giovedì potrebbero esercitare qualche pressione al rialzo sui rendimenti dei Bund, con il focus che resta comunque sulle questioni politiche, soprattutto per quanto riguarda le presidenziali francesi. 



Anna Stupnytska, economista di Fidelity International, non si aspetta novità e prevede che il presidente, Mario Draghi metterà ancora in evidenza la debolezza dell’inflazione core che resta sotto l’1’%. Detto questo, però, per l’esperta «potrebbe spuntare fuori un jolly, come ad esempio una discussione all’interno del board sulla normalizzazione verso lo zero del tasso sui depositi, ora in negativo». Qualcuno intende giocare con il fuoco? Ne dubito, a meno che la logica non sia quella del tanto peggio, tanto meglio, in vista di un evento di rischio finora sottaciuto ma che comincia a farsi strada: un’eventuale vittoria della Le Pen in Francia? 



No, tanto più che i sondaggi sono rimasti invariati in Francia nel giorno in cui Alain Juppè ha confermato di non volersi candidare alla presidenza della Repubblica. Stando a una rilevazione di Opinionway per Le Figaro e Radio Classique diffuso a metà mattinata, Marine Le Pen rimane in testa al primo turno con il 27% dei consensi, seguita da Emmanuel Macron con il 24% e da Francois Fillon con il 19%. Al secondo turno, stando al sondaggio, Macron batterebbe la leader del Front National con 60% dei voti contro il 40% della Le Pen. Fuori dai giochi i socialisti, con Benoit Hamon dato ancora attorno al 15%. Il candidato della sinistra radicale, Jean Luc Melenchon stabile all’11%. Insomma, la solita logica da difesa della Republique, quindi nulla di cui i mercati debbano avere realmente paura: una cosa sono i giochi speculativi sullo spread tra Bund e decennali transalpini, un’altra le scommesse reali di lungo termine relative a l’ipotesi di un Frexit in piena regola.

E se i mercati non si sono scaldati nemmeno per il dato sulla fiducia misurato da Sentix, che a febbraio è salito a 20,7 punti dai precedenti 17,4 punti, un motivo c’è ed è totalmente ascrivibile all’evento di rischio di cui parlavo prima. Dopo l’annuncio di un aumento di capitale da 8 miliardi di euro e di un piano di ristrutturazione che prevede l’integrazione con Postbank e la cessione sul mercato tramite un’Ipo di una quota di minoranza di Deutsche Asset Manager, Deutsce Bank è infatti crollata del 6% a Francoforte, aprendo nuovi scenari di rischio per il comparto bancario europeo, oltretutto nel suo spezzone finora ritenuto maggiormente stabile e credibile. I nuovi target finanziari vedono un Roe normalizzato intorno al 10%, un Cet1 superiore al 13% e un Leverage ratio del 4,5%. 

Per gli analisti di Icbpi citati da Cnbc, se l’operazione di Deutsche Bank era in larga misura scontata, il tema del capitale delle banche in Europa è destinato a restare sotto stretta osservazione anche in considerazione dell’incertezza sul nuovo quadro regolatorio (Basilea 4) sul meccanismo di calcolo degli asset ponderati per il rischio (Rwa). In Italia, tale incertezza si estende agli effetti collaterali dei piani di riduzione dei non performing loans, specie per le banche che presentano un’incidenza di sofferenze superiore alla media. Deutsche Bank ha comunicato di puntare a raccogliere 8 miliardi di euro attraverso una vendita di azioni, una mossa per puntellare il capitale dell’istituto tedesco, appesantito da perdite miliardarie legate a prodotti strutturati e sanzioni internazionali e sottoposto da due anni a una profonda ristrutturazione sotto amministratore delegato John Cryan. 

I piani di raccolta fondi confermano i timori di molti investitori, stando a cui Deutsche Bank sarebbe stata costretta a ricorrere al mercato per la terza volta dall’inizio del 2013. Da quando ha assunto il ruolo di ceo a metà del 2015, Cryan ha sostenuto di voler evitare il collocamento di nuove azioni, sempre inviso agli azionisti esistenti per l’effetto diluitivo. La banca ha anche detto di voler rivedere la propria struttura aziendale, integrando l’operatività bancaria globale con quella di banca corporate e di investimento e invertendo così la una separazione della banca d’investimento fatta un anno e mezzo fa. Cryan ha cercato di preservare il capitale tagliando i costi, premi a dipendenti e annullando la distribuzione di dividendi, ma non è bastato. Le speranze sono state infatti sopraffatte da miliardi di euro in spese legali, regolamenti sui buffer di capitale sempre più rigidi e profitti in calo nelle attività chiave, che vanno dall’attività bancaria tradizionale alla consulenza e al trading. La banca ha comunicato di aspettarsi 2 miliardi di euro in costi di ristrutturazione e di fine rapporto in relazione con i suoi piani. 

E tanto per non farci mancare nulla, è d ieri la notizia che il Pil della Grecia è sceso dell’1,2% nel quarto trimestre 2016 rispetto al terzo e dell’1,1% su base annua. Lo ha comunicato l’ufficio di statistica greco Elstat, rivedendo di molto le stime preliminari. Una cattiva notizia per il governo greco di Alexis Tsipras e i creditori della Ue e del Fmi: le prime stime indicavano un calo di solo lo 0,4% nel quarto trimestre e addirittura un rialzo dello 0,3% su anno. Il dato rischia di mettere ulteriore pressione sui negoziati tra Atene e i creditori internazionali per la la seconda revisione del terzo programma di salvataggio da 86 miliardi di euro, visto che sull’anno il Pil della Grecia risulta in contrazione dell’1,1%. 

Insomma, le continue richieste di austerità stanno contraendo i consumi o rinviando i già scarsi piani di investimenti privati. Intanto, i depositi bancari ellenici sono scesi al livello più basso dal 2001: stando ai dati di gennaio comunicati dalla Banca di Grecia, guidata da Yannis Stournaras, le famiglie (per 0,562 miliardi) e le imprese (per 0,972 miliardi) hanno ritirato 1,534 miliardi di euro dai depositi bancari a gennaio rispetto a dicembre 2016, portando così il livello totale dei depositi a 119,75 miliardi, il livello più basso da sedici anni a questa parte. Un segno evidente di nervosismo degli stessi greci sull’andamento del terzo salvataggio greco da 86 miliardi di euro, tanto più che il tempo adesso comincia di nuovo a stringere: il premier Alexis Tsipras ha detto ai suoi parlamentari che la revisione del piano può essere completata entro il 20 marzo, quando i ministri delle Finanze della zona euro si incontreranno di nuovo a Bruxelles. E, nonostante le discussioni potrebbero trascinarsi ancora fino alla prossima riunione dell’eurogruppo prevista il 7 aprile, dato il numero elevato di questioni ancora in sospeso, in situazioni simili basta uno squillo della speculazione per tramutare un fuocherello in un incendio. E quando si ha bisogno di una cortina fumogena per nascondere le magagne di un gigante come Deutsche Bank, la tentazione potrebbe diventare irrefrenabile.