Il 25 marzo si festeggeranno con tutti gli onori i 60 anni dei Trattati di Roma, di fatto l’atto fondativo dell’Ue come la conosciamo adesso, e per celebrare al meglio questa ricorrenza, lunedì a Versailles il vertice europeo dai capi di Stato e di Governo di Francia, Germania, Spagna e Italia ha voluto istituzionalizzare la futura morte dell’Unione, parlando finalmente e senza ipocrisie di un’Europa a più velocità. Guarda caso, a sostenerlo apertamente sono stati il presidente francese, Francois Hollande e la cancelliera tedesca, Angela Merkel. «L’Ue deve saper dimostrare la solidarietà a 27, ma anche la capacità di avanzare a ritmi diversi tra i diversi Paesi», ha detto Hollande, parlando di «nuove forme di cooperazione differenziata». Gli ha fatto eco Angela Merkel: «Dobbiamo avere Paesi che vadano avanti più rapidamente rispetto ad altri». È la tesi delle cosiddette “cooperazioni differenziate”, ma «per chi è indietro non è una situazione chiusa. Dobbiamo andare avanti, serve un’Europa più forte e coerente. L’Europa è stata costruita sulla pace, Versailles ne è uno dei simboli, ma se ci fermiamo tutto quello che abbiamo costruito potrebbe crollare. Abbiamo tutti l’obbligo di continuare la costruzione europea. L’Unione europea deve essere un protagonista solida di fronte agli altri protagonisti della globalizzazione. Deve essere l’Unione della prosperità. Ci vogliono posti di lavoro. Serve una responsabilità comune e questa responsabilità ci sarà nella dichiarazione di Roma», ha concluso la Merkel. 



Quante belle parole, quanti concetti pieni di buonsenso. Peccato che tutto, in realtà, si riduca al grafico a fondo pagina: a gennaio gli sbilanciamenti di Target2 ci mostrano come le fughe di capitali da Italia e Spagna verso la Germania siano tornate a intensificarsi: a oggi, gli sbilanciamenti all’interno del sistema di pagamento dell’eurozona superano i livelli toccati durante la crisi del 2012. E cosa ci dice in più questo grafico? Che se per caso Mario Draghi dovesse dire basta al programma di acquisti obbligazionari legati al Qe, la domanda per il debito italiano si schianterebbe. Ma ragioniamo un attimo rispetto proprio al 2012. Ovviamente, al netto della generosa monetizzazione del debito operata dalla Bce, oggi il dibattito sulla rilevanza degli sbilanciamenti di Target2 è finito nel dimenticatoio, vista la soppressione artificiale degli spread sovrani, di fatto la conferma che ogni giorno il mercato si auto-impone un totem rispetto l’assenza di rischio per un’imminente frattura dell’eurozona. 



Nel 2012 fu diverso, perché all’epoca non si poté negare il segnale rilevante che arrivava del gap di sbilanciamento tra i claims sempre crescenti della Bundesbank e le liabilities in aumento della periferia dell’Ue, soprattutto Italia e Spagna. Qualche economista bollò come irrilevanti quelle divergenze, ma Hans Werner Sinn spezzò la cortina di ipocrisia definendo Target2 «niente più che un salvataggio minimamente velato della periferia dell’eurozona», di fatto ridefinendo il flusso di fondi interno al sistema niente più che un finanziamento delle obbligazioni dei Paesi del Sud Europa, un qualcosa di illegale in base alle regole europee. 



Di fatto, la conferma di queste parole l’ha offerta cinque anni dopo Mario Draghi in persona, il quale alla fine dello scorso mese di gennaio ha detto chiaramente che se l’Italia volesse lasciare l’euro, dovrebbe prima saldare i propri debiti all’interno del sistema di pagamenti Target2: di fatto, l’addio di Roma all’eurozona costerebbe qualcosa come 357 miliardi in obblighi da onorare verso il “bancomat” dell’Ue. 

Bene, lunedì gli analisti della Banca per i Regolamenti Internazionali (Bri), Raphael Auer e Bilyana Bogdanova, hanno pubblicato un report che conferma di fatto le parole di Draghi, ammettendo che Target2 altro non è che una metodologia coperta utilizzata dall’Europa per finanziare i debiti sovrani senza violare la clausola di finanziamento diretto dell’Ue: «Nel periodo che ha portato a metà del 2012, i bilanci di Target2 sono cresciuti molto a causa di fughe di capitali intra-Ue. Al tempo, la tensione del mercato sovrano arrivò ai massimi, così come il rischio di ridenominazione in parte dell’area euro. I capitali privati si spostarono da Irlanda, Italia, Grecia, Portogallo e Spagna verso mercati percepiti come maggiormente sicuri, ad esempio Germania, Lussemburgo e Olanda». Ma ecco che salta fuori qualcosa che non ti aspetti: se infatti per la Bri gli sbilanciamenti del 2012 erano di fatto prestiti mascherati al Sud Europa, quelli attuali sono qualcosa di maggiormente benigno cui far fronte: «I bilanci di Target2 sono nuovamente in crescita oggi. Dall’inizio del 2015, i bilanci della Banche centrali della zona euro sono continuati a salire, in alcuni casi eccedendo i livelli vissuti durante la crisi dei debiti sovrani. Comunque, a differenza di allora, i bilanci di record di Target2 oggi andrebbero visti come il prodotto benigno dell’implementazione decentralizzata del programma di acquisto assets, piuttosto come un segno di rinnovata fuga di capitali». 

E qui sorge il dubbio, perché questa differenziazione? Perché l’attuale finanziamento del debito della periferia operato dalla Bundesbank sarebbe qualcosa di cui non preoccuparsi? Perché è un prodotto del Qe? E il Qe, scusate, non è un metodo mascherato per prevenire l’implosione dell’eurozona attraverso il mantenimento artificiale di tassi di interesse bassissimi? Paradossalmente, nel 2012 l’Europa non aveva un Draghi occupato a schiacciare gli spread comprando 60/80 miliardi al mese di assets, di fatto con il bilancio della Bce che a oggi già detiene l’11% di tutti i bond corporate dell’eurozona. Oggi, invece, l’azione onnivora della Bce ha eliminato di fatto qualsiasi percezione di rischio, sia essa calcolata attraverso lo spread o i cds e l’unico trade in atto è quello relativo ad andare frontrun o meno all’Eurotower: perché, dunque, gli sbilanciamenti di Target2 oggi non dovrebbero fare paura, ma, anzi, essere visti come qualcosa di positivo? 

Guardate questo grafico e fatevi una domanda: cosa accadrebbe se la Bce fosse obbligata a rallentare moltissimo o addirittura bloccare il suo programma di acquisto e, magari, arrivare al paradosso emergenziale di dover alzare i tassi, magari per un’inflazione finita fuori controllo a causa di Cina e politica economica americana? Dove tornerebbero gli spread e i valori dei cds, ai livelli del 2012 o forse molto peggio, molto più in alto? Davvero questa crescita degli sbilanciamenti va guardata con occhio benigno? Davvero dobbiamo credere che il Qe sia qualcosa di differente da un metodo terminale per cercare di tenere insieme l’eurozona attraverso il mantenimento al ribasso dei tassi di interesse di bond periferici europei? 

Attenti al board di domani dell’Eurotower, qualche segnale potrebbe spuntare fuori. E dirci molto dei futuro che ci attende, altro che Europa a più velocità. Si comincia a preparare il futuro, peccato che in Italia nessuno abbia capito cosa questo comporti realmente.