Appena tre giorni fa abbiamo proposto sul sussidiario qualche riflessione sulla “caccia all’italiano residente all’estero” appena annunciata dall’Agenzia delle Entrate. Oggi ci ritroviamo a registrare una nuova “caccia all’estero”, indetta sempre dal fisco italiano, ma con un obiettivo totalmente diverso: non gli italiani da far fiscalmente rientrare o da  frenare nelle fuga, ma gli stranieri super-ricchi che il governo italiano vuole attrarre a stabilirsi in Italia attraverso una flat tax. E sarebbero già un migliaio le richieste giunte all’amministrazione finanziaria italiana: centomila euro di imposta sul reddito a forfait (e 25mila per ogni eventuale familiare aggregato). Le voci lasciate correre dall’Agenzia parlano di “concorrenza a Spagna e Gran Bretagna”, di “calciatori ed emiri” come categorie simbolo di hight net worth individual cui stendere tappeti rossi fiscali.



Alcune questioni aperte, fra scienza delle finanze e politica, restano. Centomila euro da mille paperoni totalizza cento milioni all’anno: lontano dall’essere una cifra-differenza per un bilancio statale in cui una semplice “manovrina” correttiva pesa per 3,4 miliardi. Non è immaginabile che un’iniziativa del genere possa avere come finalità credibile l’incremento del gettito fiscale: neppure se i nuovi residenti diventassero diecimila. In secondo luogo, già allontanandoci da un terreno puramente tecnico. i super-ricchi che scegliessero l’Italia come residenza fiscale e pagassero a forfait le imposte sui maxi-redditi, vedrebbero domiciliati automaticamente anche i loro maxi-patrimoni? Domanda successiva: la flat tax funzionerebbe anche da scudo per i super-ricchi se l’Italia dovesse varare forme di prelievo patrimoniale una tantum “per restare nell’euro”? In altri termini: se fosse replicato un prelievo dello 0,6% sui depositi bancari (come nel 1992), il conto in banca di un calciatore multimilionario resterebbe intatto? Se acquisisse la residenza fiscale in Italia un “emiro” cui fossero ricondicibili importanti proprietà immobiliari nel Paese (o anche in altri Paesi), questi asset sarebbero esenti in caso di patrimoniale? Il governo è seriamente convinto della praticabilità legale e politica in questa prospettiva?



La motivazione ultima di politica economica della flat tax ai super-ricchi è la stessa, comunque, della “voluntary disclosure 2”: chiamare/richiamare capitali in Italia. E la speranza intuibile è che questi mezzi possano in qualche misura incrociare le rotte del debito pubblico, delle società quotate in Borsa, di un vasto latifondo immobiliare pubblico e privato dalle quotazioni depresse dopo lo scoppio della “bolla”. Non è difficile scorgere – sullo sfondo – l’accumulo di riserve di liquidità cui offrire passività finanziarie straordinarie: ad esempio Btp speciali emessi da operazioni di cartolarizzazione di immobili pubblici (o anche di “cattivi crediti” bancari, se la Ue autorizzasse finalmente forme di bad bank nazionale; oppure un più strutturato fondo di stabilizzazione del sistema bancario).



Come notavamo già sul Sussidiario, la vera priorità di politica finanziaria italiana resta il taglia-debito. Ecco allora uno scenario possibile: se mille super-ricchi “neo-residenti” portassero con sé almeno 50-100 milioni di euro a testa e ne investissero almeno metà nel sistema-Paese, allora sì l’iniziativa delle Entrate “farebbe la differenza”. Ma questo dovrebbe essere delineato con chiarezza ed efficacia nel Def 2018, che il ministro Pier Carlo Padoan sta redigendo sotto lo sguardo occhiuto dell’Europa.

Nell’attesa, tre giorni dopo, riponiamo a maggior ragione una domanda tutta politica: può il governo gettare pongti d’oro a vantaggio di “emiri & calciatori” abbassando le tasse ad personas e contemporaneamente chiudere le frontiere in uscita ai pensionati Inps che vogliono sfruttare fiscalità di vantaggio studiate per loro da altri paesi Ue?

(Una risposta fra tante può essere questa: certo che può – anzi forse deve – se l’Italia vuole superare gli esami del concorso “Europa a due velocità” indetto l’altro ieri dal cancelliere Angela Merkel, con a fianco anche il premier Paolo Gentiloni. Ma forse, in una democrazia economica, sarebbe il caso di parlarne, naturalmente al netto di ogni suggestione demagogica).