E se Marine Le Pen si tramutasse nel terzo cigno nero della politica globale, dopo il Brexit e l’elezione di Donald Trump? Come sapete io non offro speranze a questo epilogo, per il semplice fatto che la storia ci insegna come la Francia sappia fare muro contro i candidati sgraditi, coalizzando anche il diavolo e l’acquasanta al ballottaggio pur di serrare le porte dell’Eliseo a chi viene ritenuto non in linea con i valori della Republique. Negli ultimi giorni, però, alcuni segnali sembrano avvalorare le tesi di alcuni analisti politici e sondaggisti indipendenti, ripresi anche da Le Figaro, in base ai quali – grazie all’enorme consenso tra i giovanissimi – la candidata del Front National sarebbe ben oltre la soglia di consenso accreditatagli e veleggerebbe attorno al 34% al primo turno.
Uno di questi segnali è arrivato nel fine settimana da un dibattito televisivo ospitato da Lc1, nel corso del quale Marine Le Pen ha offerto il suo punto di vista riguardo un evento storico legato al periodo di Vichy che ha scatenato immediate polemiche in patria e all’estero, rinfocolando le vulgate neo-fasciste e antisemite contro il partito di cui è presidentessa. La Le Pen ha infatti disconosciuto una responsabilità diretta della Francia di Vichy, collaborazionista dei nazisti durante la II Guerra Mondiale, nel più grande arresto di massa di ebrei, passato alla storia come “il rastrellamento del Velodromo d’Inverno”, durante il quale nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1942, 13mila cittadini di religione ebraica francesi vennero raccolti per essere poi deportati nei campi di sterminio. Ecco le sue parole: «Non penso che la Francia sia responsabile per il Vel d’Hiv. In generale penso che se ci sono dei responsabili, sono coloro che erano al potere a quel tempo. Non la Francia», di fatto riconoscendo la vera Repubblica in quella di De Gaulle ospitata a Londra durante l’occupazione e non quella di Vichy.
Bene, per me questo è un segnale politico chiaro: al netto dell’importanza della storia e dei suoi insegnamenti, quando in un dibattito politico per le presidenziali si vanno a scomodare accadimenti della Seconda guerra mondiale per mettere in difficoltà il candidato sgradito, significa che c’è timore reale. Un altro segnale è arrivato poi da Nadège Dufossé, head of asset allocation del Candriam Investors Group, il quale ha gettato una pesante secchiata d’acqua gelata sui ragionamenti di chi già vede Emmanuel Macron all’Eliseo, facendo notare che il colpo di coda della Le Pen è estremamente improbabile, ma affatto impossibile. Vediamo qualche dato. Dagli ultimi sondaggi emerge come assai probabile che ambedue i candidati indipendenti, Emmanuel Macron e la candidata di estrema destra Marine Le Pen, passeranno al secondo turno del 7 maggio. Nonostante Macron abbia guadagnato terreno nei sondaggi dalla fine di febbraio e sia uscito molto bene dai dibattiti presidenziali, per ora la partita resta aperta. Tanto Macron quanto Le Pen sono vicini al 25% dei sondaggi ufficiali che, nel frattempo, stanno vedendo sfavorito François Fillon (18% rispetto al 20% di un mese fa), ma premiando il candidato di estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon (16% rispetto al 10% ai primi di marzo). Un secondo round tra Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon ha poche probabilità di verificarsi, ma è un rischio di coda da tenere presente date le recenti dinamiche dei sondaggi.
Vediamo ora le dinamiche legate al secondo turno. I sondaggi per il ballottaggio delle presidenziali sono rimaste stabili durante il mese scorso, con quasi il 60% che intende votare per Macron, mentre il 40% sembra favorire Le Pen. I bookmaker restituiscono un’immagine analoga, con un 25% di possibilità per Le Pen contro più del 63% per Macron. Chi voterà per Mélenchon è probabile che poi voti per Macron al secondo turno, mentre i sostenitori di Fillon sono suddivisi quasi in parti uguali tra Macron, Le Pen e l’astensione.
Fin qui, lo stato dell’arte, almeno formale e in base ai sondaggi (i quali vanno presi con le pinze, visti i precedenti in Gran Bretagna e Usa). E quale scenario centrale vedono alla Candriam Investors Group? «Nel nostro scenario centrale, che stimiamo al 90% e che riflette l’attuale posizionamento del portafoglio, Marine Le Pen non diventerà il prossimo presidente della Francia. Questo risultato sarebbe chiaramente positivo per gli asset rischiosi, in particolare le azioni Emu», sostiene Nadège Dufossé. Di fatto, al netto di questo, il premio per il rischio politico continuerebbe a progredire e sbloccare il potenziale al rialzo dell’asset class; il rimbalzo delle azioni Emu potrebbe comportare un relativo re-rating sulle azioni Usa intorno al 10%, che potrebbe essere parzialmente integrato prima del voto; gli investitori stranieri apporterebbero probabili flussi nei titoli dell’Europa continentale, che presentano valutazioni attraenti con un positivo momentum in termini di revisione degli utili. E se invece ci fosse la grande sorpresa? Lo scenario peggiore per i mercati dopo il primo turno del 23 aprile sarebbe un faccia a faccia il 7 maggio tra Le Pen e Mélenchon: «In questo caso una vittoria di Marine Le Pen sarebbe più probabile rispetto a un faccia a faccia con un candidato più moderato», aggiunge il capo dell’investimento del Candriam Investors Group.
Se Marine Le Pen fosse eletta presidente, nominerebbe un governo a interim del Front National, esecutivo che poi dovrebbe essere confermato alle elezioni legislative di giugno (due turni che si terranno l’11 e il 18 giugno). In questo caso, Nadège Dufossé prevede quanto segue: inizialmente un’intensa fuga di capitali, con il probabile ripristino del controllo dei capitali in Francia; il rischio che Le Pen indichi un referendum sul Frexit dall’Ue nel secondo semestre dell’anno, rimettendo de facto in questione l’esistenza dell’Unione europea; un rischio di recessione economica in Europa come conseguenza della durata dello shock dovuto all’incertezza. Ecco le sue parole: «I rischi di impatto negativo sul mercato sarebbero rilevanti. Tutti i mercati, azionari, obbligazionari e monetari, registrerebbero uno shock nel periodo tra il secondo turno dell’elezione presidenziale il 7 maggio e la conferma di un governo capeggiato dal Front National il 18 giugno», sostiene Nadège Dufossé.
Entrando nel concreto, cosa dobbiamo attenderci? Le azioni Emu potrebbero potenzialmente perdere più del 20% in questo periodo di intensa incertezza, con la volatilità (Vix) che registrerebbe contemporaneamente un’impennata; il rendimento tedesco a lungo termine diminuirebbe ulteriormente, mentre lo spread dell’Oat francese contro la Germania si allargherebbe potenzialmente a oltre i 300 punti base. Chiaramente, la capacità e la volontà della Bce di intervenire sarebbero cruciali per mitigare il rischio di una crisi finanziaria; l’euro perderebbe più del 10% sul dollaro Usa. I mercati devono temere davvero? «Pur attribuendo una probabilità solo del 10% a questo scenario, continuiamo a monitorare da vicino qualsiasi sviluppo possa avere un impatto sul nostro scenario centrale», conclude Nadège Dufossé.
Ma attenzione, perché lo scorso finale di settimana, sui mercati si sono andati a incastrare segnali tecnici particolarmente chiari in favore di un esito non scontato al voto francese. Primo, il VStoxx Index, il quale misura la volatilità delle scommesse basate sull’Euro Stoxx 50 è rimbalzato e ha segnato la terza settimana di crescita consecutiva: si tratta della stringa più lunga dal referendum sul Brexit dello scorso giugno. Inoltre, sono cresciute enormemente le scommesse sull’indice benchmark francese il Cac 40, salite al massimo dal 2011, mentre quelle sul Euro Stoxx 50 regionale sono rimaste stabili. Dalla chiusura dello scorso mese, l’open interest su opzioni call è salito del 26%, mentre quello sulle put del 22%: insomma, un po’ troppo fermento per l’indice di un Paese le cui presidenziali sarebbero, a detta di tutti, una pura formalità. Ma anche il mercato valutario ci dice che qualcosa non convince chi investe, visto che questo grafico, ci mostra come il costo dell’opzione di un mese per comprare l’euro contro lo yen si sia schiantato giovedì scorso, in relazione a contratti per la vendita, al livello più basso da giugno.
Si tratta del cosiddetta risk-reversal rate, un rivelatore del posizionamento e del sentiment del mercato, il quale è già calato ai minimi da maggio 2016, proprio prima del referendum sul Brexit, sintomo che oggi i traders sono molto più cauti nelle loro scommesse. Di più, quest’altro grafico ci mostra i come mercati del credito sovrano segnalino un elevato rischio Paese della Francia nei confronti della Germania.
La domanda è una sola: se oggi, sul mero e formalmente molto improbabile timore dell’arrivo della Le Pen all’Eliseo, ci troviamo di fronte a posizioni hedge di questo livello, cosa accadrebbe se l’impossibile divenisse realtà il 7 maggio prossimo? Il fatto che poi, ieri pomeriggio, Goldman Sachs abbia operato il downgrade sui bond francesi, invitando la propria clientela «ad aprire shorts tattici sull’Oat, visto che la duration appare ormai troppo cara» rispetto al rischio Paese, parla molto chiaro. Certo, se per contrastare la Le Pen si continueranno strumentalmente a scomodare fatti di 70 anni fa, sperando in una scivolata antisemita, meglio davvero posizionarsi tutti per una sorpresa.