Con il passare delle ore emergono maggiori dettagli sul Def 2017 e la manovra correttiva che il Governo ha varato martedì. Il Premier Gentiloni ha rimarcato l’assenza di nuove tasse, mentre sembra essere stato accantonato il taglio dell’Irpef programmato da Renzi per il 2018 a favore di una decontribuzione sulle assunzioni dei giovani. Leonardo Becchetti, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, ricorda che «non ci sono nuove tasse fino a un certo punto. È quasi una necessità un po’ formale dire che non ci sono aumenti di imposte. E se è certamente giusto porre l’accento sul fatto che in Italia bisogna ridurre le tasse, credo che il problema fondamentale sia che bisogna alzarle nei paradisi fiscali». 



Cosa intende dire Professore?

Noi possiamo anche abbassare le tasse, ma la vera questione è che in Europa ci sono paesi che sono quasi dei paradisi fiscali. Secondo me, nell’Ue e nell’Eurozona deve assolutamente esserci una forchetta di aliquote molto più contenuta. Questo perché i dati dell’ultimo rapporto Oxfam mostrano che ci sono grandi imprese, non solo le banche, che producono nel nostro Paese e poi spostano i profitti dove le tasse sono più basse. Tutto ciò distorce i dati sulla produttività e sul Pil, oltre a ridurre il gettito fiscale. Dobbiamo quindi abbassare le tasse, ma occorre anche che vengano chiusi i quasi-paradisi fiscali che ci sono nell’Ue.



Intanto si è scelto di rinunciare al taglio dell’Irpef per puntare sugli incentivi per l’occupazione giovanile. Cosa ne pensa?

Sono d’accordo, perché in Italia la crisi ha bloccato gli investimenti in un periodo di grandi innovazione e abbiamo anche la percentuale più bassa tra i paesi europei di giovani highly skilled nei settori innovativi. Quindi trovo giusto che il Governo punti le risorse che ci sono su questo aspetto particolare, visto anche il livello della disoccupazione giovanile. Meglio muoversi in questa direzione piuttosto che agire in maniera più generale sull’Irpef.



Il Def dice che nel 2018 bisognerà portare il deficit dal 2,1% all’1,2% del Pil. Non è una riduzione troppo repentina?

Sì e credo occorra condurre una battaglia per riformare il Fiscal compact. La teoria economia dice che è giusto ridurre il rapporto debito/Pil, ma non c’è bisogno di portare il deficit verso lo zero per ottenere questo risultato. Un disavanzo sotto il 3% del Pil è ragionevole, dà fiato all’economia e consente anche di ridurre il debito pubblico, posto che il Pil crescerebbe quanto meno dell’1%. Certo non è una ripresa esaltante, ma si sta consolidando una certa base. 

L’Italia dovrà quindi aprire una nuova trattativa con Bruxelles sulla flessibilità…

Credo che bisognerà fare una battaglia per aumentare ancora di più la flessibilità, perché non è che l’economia si riprende di più se il deficit va a zero. Non vedo perché un Paese che è già più virtuoso di altri, come Francia e Spagna, debba necessariamente muoversi verso parametri di deficit/Pil così bassi. Ritengo sia importante anche una questione politica più grande: modificare le regole del Fiscal compact, che sono esageratamente restrittive.

Sul raggiungimento di questo risultato potranno influire i risultati delle elezioni in Francia e in Germania?

Se andranno al potere partiti socialdemocratici credo che ci sarebbero maggiori speranze di riformare le politiche europee, non solo per un allentamento del Fiscal compact, ma anche nel contrasto all’elusione fiscale. Se le imprese fanno attività in Italia e poi portano i profitti nei paradisi fiscali, ciò rappresenta un danno enorme per il nostro Paese, sia dal punto di vista contabile che di risorse drenate.

(Lorenzo Torrisi)