Donald Trump sembra pronto a varare dei dazi doganali, dando così corpo agli annunci protezionistici della campagna elettorale. L’Europa, oltre a questa minaccia, si trova a far fronte alla necessità di discutere gli accordi commerciali post-Brexit con la Gran Bretagna. Donald Tusk ha già chiarito che Londra non potrà cercare la strada degli accordi bilaterali con i singoli paesi membri dell’Ue. La situazione non è dunque semplice, anche perché «ci sono implicazioni enormi, che vanno al di là dei rapporti diretti tra Italia e Stati Uniti o Gran Bretagna», ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. 



In che senso professore?

Se è noto il fatto che la Germania ha un enorme surplus commerciale, forse lo è meno il fatto che la gran parte di questo avanzo commerciale deriva da scambi con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. E la Germania importa molto dall’Italia, senza dimenticare che molte imprese delle nostre regioni settentrionali sono inserite nella filiera produttiva di quelle tedesche che esportano. Di conseguenza, anche se venisse colpito solo l’export tedesco ne risentirebbe anche quello italiano. Questo è un momento in cui occorre quindi grande intelligenza comune. 



Si scorge preoccupazione nella sua analisi…

In effetti, vedo che stiamo purtroppo ripercorrendo la storia degli anni Trenta. Cominciano a esserci troppe similitudini, fino a ieri legate esclusivamente all’austerità. Come Italia rischiamo veramente grosso, perché stiamo faticosamente a galla proprio in virtù di una crescita buona, anche se non brillante, delle esportazioni. Stiamo peggio di quasi 20 anni, l’anno prossimo celebriamo dieci anni di crisi, basta un non nulla perché ritorni il tormento dello spread, senza dimenticare che è iniziato l’ultimo anno di mandato di Draghi alla guida della Bce. In pratica dobbiamo lottare non tanto per crescere, ma per non essere commissariati.



Vista la situazione, se l’Europa non vuole darsi la zappa sui piedi, non le converrebbe togliere le sanzioni alla Russia?

Si può anche immaginare di farlo, ma solo una volta che si sia ristabilito un clima di reciproca comprensione. Per quello che si riesce a percepire, non sembra che sia ancora un atteggiamento genuinamente amichevole quello della Russia nei confronti dell’Ue. Di fatto è come se non volesse riconoscere l’Ue. 

E perché?

Volendo riconquistare un ruolo mondiale, per Mosca è meglio avere a che fare con i singoli paesi membri piuttosto che con un’Europa più o meno unita. C’è poi da dire che Putin ha capito benissimo l’Europa, ma sono convinto che la classe dirigente europea non abbia capito cos’è la Russia, salvo farne un demone o un santo. C’è davvero uno spirito russo, quindi disconoscerlo sarebbe un errore gravissimo. Se la classe politica europea non capisce come si tratta con la Russia, rischiamo anche noi di fare dei passi falsi.

Come possiamo allora cercare di evitare il peggio?

Per fortuna il mondo non è tutto così, non abbiamo ancora un protezionismo globale e i mercati asiatici continuano a essere molto aperti. Quindi, se fossimo un Paese un po’ più veloce, un po’ meno lumaca, ci muoveremmo in questa direzione, perché sull’enorme mercato asiatico abbiamo avuto dei successi troppo limitati. Il cerino, per così dire, è in mano al mondo delle imprese, che ha tra l’altro ricevuto tanto negli ultimi anni: sgravi, incentivi al lavoro, bassi salari. Purtroppo c’è un certo clima di rassegnazione in giro. Occorre vincerlo per non vedersi sopraffatti.

(Lorenzo Torrisi)