La realtà spesso non è quello che appare. Ce l’ha ricordato la cronaca di questa settimana così cruenta, così sorprendente. L’autore del fake più clamoroso è senz’altro Donald Trump che, in prossimità dei suoi primi 100 giorni alla Casa Bianca, ci ha regalato un’interpretazione strepitosa nel solco del suo passato da star tv nel reality “The Apprentice”. Una settimana fa, di fronte a un mondo con il fiato sospeso, il Presidente ha annunciato di aver schierato un’Armada invincibile di fronte alle coste della Corea del Nord compresa la portaerei Carl Vinson, uno dei gioielli della marina americana. Ma pochi giorni dopo una foto galeotta ha rivelato che questa si trovava a migliaia di chilometri dall’obiettivo dopo aver navigato in direzione opposta. Una mossa abile, buona per tener sotto pressione il nemico? Sarebbe interessante chiederlo ai coreani, costretti a vivere sotto la pressione di ordigni nucleari schierati a 40 chilometri dalla capitale Seul. C’è da fidarsi di un alleato che usa sulla tua pelle l’arma del bluff? Scegliete voi la risposta. Una cosa però è sicura: la sincerità è da sempre la virtù più richiesta a un Presidente americano (ne sa qualcosa Richard Nixon folgorato per le sue bugie).



La cronaca ha giocato di recente altri brutti scherzi, non meno pericolosi. Nel caso dello pseudo attentato al bus del Borussia Dortmund da parte di un delinquente russo con l’obiettivo di provocare la caduta delle azioni del club tedesco segna non solo un salto di qualità nella storia del crimine in Borsa (altro che manipolazione finanziaria, si è passati all’invenzione tout court), ma anche della criminalità sportiva. Anche in questo caso il sapore di fiction supera la realtà come siamo abituati a conoscerla e a frequentarla nel mondo reale, ormai solo un’appendice di un mondo virtuale sempre più potente e invasivo: non è lontano il giorno in cui i Bitcoin scalzeranno le monete “reali” dai portafogli. E in questa cornice si possono meglio comprendere i miracoli di Uber, società in profondo rosso (3 miliardi di perdite in un anno), ma che continua ad attrarre i quattrini degli investitori al punto da avere due miliardi in cassa. O di Tesla, quinta potenza dell’auto per capitalizzazione ma davanti a Ford e a General Motors con soli 80 mila veicoli prodotti in un anno.

Una follia? Forse. Ma che nasconde un’esigenza reale. Le società avanzate sono ormai consapevoli che qualcosa nelle ricette della crescita così come l’abbiamo conosciuta e praticata negli ultimi decenni non funziona più: l’occupazione, grazie alla spinta della liquidità sovrabbondante, è tornata a crescere. Ma non i salari. E questo va a scapito della tecnologia e, di riflesso, della produttività. È la tesi di Ryan Avent, brillante giornalista di The Economist: non è l’eccessivo impiego dei robot a minacciare l’occupazione, bensì il basso costo del lavoro che rende meno conveniente investire nell’innovazione a vantaggio della produttività. Qualcosa è saltato, insomma. A tutto vantaggio dei populismi che tanto agitano la scena politica in Europa come in America.

È probabile che, per ora, Marine Le Pen non riesca a sfondare. Ed è ancor più probabile, in questo caso, che qualsiasi programma grillino o comunque anti-euro non abbia possibilità alcuna di incidere in Europa l’anno prossimo (salvo la creazione di una valuta parallela tutto sommato innocua). Non ci si illuda che l’ondata populista sia destinata a passar di moda. Ci sono ragioni reali per contestare ricette che non incidono nella realtà. In questa cornice una sconfitta dei populisti è destinata a far contenti i mercati, ma a lungo andare potrebbe rafforzare le forze anti-sistema: una recessione globale, tutt’altro che imprevedibile otto anni dopo la grande crisi, potrebbe rendere irresistibile, in una larga parte dell’elettorato, la voglia di sperimentare davvero qualcosa di nuovo.

Non resta che sperare che una forza solidale sappia offrire una proposta in questa direzione. Prima che diventi di moda arrangiarsi alla maniera di Dortmund.