Come sapete non sono un amante delle realtà ufficiali. Le studio, ovviamente, ma non mi fermo alle verità preconfezionate. Capirete quindi la mia soddisfazione quando, cercando dei dati riguardo l’economia dell’eurozona, mi sono imbattuto nell’ultimo studio di EurActiv, il quale non solo smentisce l’idiozia populista e anti-politica della Spagna che cresce meglio e di più in assenza di un governo, ma l’intera impalcatura che faceva di Madrid il poster-boy di come, se ci si attiene alle ricette che l’Europa indica, si diventa dei campioni. Bene, cosa ci dice quell’ultimo report? Che tra il 2008 e il 2014, in Spagna la percentuale dei bambini che vive sotto la soglia di povertà è salita del 9%, arrivando quasi al 40%. Che dite, la povertà infantile è un buon segnalatore macro, qualcosa di cui andare fieri? Certo, in un mondo dove l’unica cosa che conta sono lo spread dei Bonos stabilizzato artificialmente dagli acquisti di Draghi e gli indici di Borsa spinti dai tassi a zero, sicuramente la risposta è sì e il grafico più in basso ce lo conferma plasticamente. Sicuri, però, di voler vivere in un mondo così? E, ancora più importante, sicuri di poter vivere in un mondo così ancora per molto?
La Spagna dei miracoli ha il terzo tasso di povertà infantile in Europa, dopo Romania e Cipro, stando alle cifre di EurActiv: al netto di un aumento della povertà in generale molto marcato, la crescita maggiore si è registrata tra le famiglie di quattro persone (due genitori e due figli) che vivono con meno di 700 euro al mese o 8.400 euro l’anno. Di più, la Spagna ha il terzo divario più grande nell’Ue, dopo Lettonia e Cipro, tra livelli di protezione sociale offerta ai bambini e quella agli over 65: durante l’intero corso della crisi economica, gli anziani hanno usufruito di una protezione maggiore rispetto ai giovani. Stando all’Ufficio di statistica spagnolo, citato dall’Unicef, gli investimenti in protezione sociale delle famiglie è calato di 11,5 miliardi di euro tra il 2009 e il 2015, ma è il trend appare diffuso in tutta Europa, visto che i due terzi degli aumenti della povertà registrati in Paesi sviluppati hanno riguardato nazioni europee. Ma che importa, la Borsa sale e i rendimenti restano bassi!
Direte voi: con la crisi è ovvio che certe spese di protezione sociale calino, poiché si taglia la spesa pubblica. E, comunque, la Spagna cresce tre volte l’Italia. Vero, ma come fa a crescere così? Ce lo dice uno studio molto ben fatto di ForexInfo, il quale ha paragonato i principali parametri macro di Spagna e Italia e ci ha regalato un quadretto poco edificante per i difensori dei diktat di Bruxelles e per chi si abbevera alle nude cifre, senza approfondire. Guardate questo grafico, il quale mette in comparazione il trend di spesa governativa dei due Paesi: attorno al 2009, entrambe le spese governative cominciano a invertire il trend di crescita e a diminuire, ma mentre nel 2013 la spesa spagnola si stabilizza e poi ricomincia a crescere, quella dell’Italia continua a scendere. Certo, la spesa pubblica come percentuale del Pil è inferiore in Spagna, essendo arrivata a un massimo del 48% e assestandosi nel 2015 attorno al 43,3% (mentre in Italia nel 2015 era al 50,5%, avendo anche superato il 51%), ma se si guarda all’andamento della spesa in termini assoluti e si considera l’austerità una diminuzione della stessa, vediamo che in Italia la spesa continua a diminuire, mentre in Spagna nel 2013 il trend si inverte. Insomma, da quattro anni Madrid ha detto adios all’austerità, mentre Roma no.
Veniamo poi al rapporto deficit/Pil, quello che ci ha costretto alla manovrina correttiva, tra aumenti prima annunciati e poi ritirati dell’Iva e altri salti mortali sui conti pubblici. In questo caso, nel 2006 e 2007, la Spagna parte da una posizione migliore della nostra, l’Italia è in deficit e la Spagna in surplus. Già dal 2008, però, anche la Spagna entra in deficit e in misura maggiore di noi, arrivando al 4%. Dopodiché la forbice tra il nostro rapporto deficit/Pil e quello della Spagna aumenta, tanto che quello di Madrid arriva un paio di volte vicino alla quota del 10%, mentre l’Italia non va mai oltre il 5% e solo nell’annus horribilis 2009. Vogliamo poi vedere il rapporto debito/Pil? Nel 2015 la Spagna ha un rapporto debito/Pil ancora di molto inferiore al nostro e appena sotto la soglia del 100%, ma occorre guardare bene le dinamiche che si innescano dal 2008 in poi, ovvero con la grande crisi finanziaria. In quell’anno, infatti, il nostro rapporto debito/Pil era al 103%, mentre nel 2015 raggiunge il 133%: parliamo di un aumento di circa trenta punti percentuali tra 2008 e 2015. Nel medesimo lasso di tempo, però, Madrid passa dal 39% al 99%, un aumento di qualcosa come 60 punti percentuali tra il 2008 e il 2015 e una crescita doppia rispetto alla nostra.
Visto come ingannano le cifre, se riportate senza contestualizzarle? Ne volete un esempio? Pronto e fresco di giornata. Ieri, infatti, è uscito il dato del PMI composito dell’eurozona, la lettura preliminare di aprile: risultato? Forte inizio del secondo trimestre per l’economia. L’indice, elaborato da Ihs Markit, si è infatti attestato a 56,7 punti, sui massimi da 72 mesi, al di sopra dei 56,4 di marzo e dei 56,6 del consenso. Più nel dettaglio, l’indice preliminare relativo al settore dei servizi è risultato pari a 56,2 punti rispetto ai 56 del mese precedente e del consenso. Quello manifatturiero, invece, si è attestato a 56,8 punti, in rialzo rispetto ai 56,2 di marzo e ai 56 punti del consenso. «Il PMI preliminare di aprile è a un livello in linea con una crescita dello 0,7% del Pil, in accelerazione dallo 0,6% del primo trimestre. Un’espansione di questa portata, se dovesse continuare, spingerà inevitabilmente gli economisti a rivedere al rialzo le previsioni per il 2017», ha commentato il capo economista di Ihs Markit, Chris Williamson, puntualizzando che «elevati tassi di crescita sono stati osservati sia nel settore manifatturiero che in quello dei servizi, il primo favorito dalla debolezza dell’euro che ha fatto crescere le esportazioni al livello più alto da sei anni». Inoltre, «l’aumento dell’ottimismo e della propensione al consumo ha favorito la crescita del livello occupazionale del settore dei servizi, con una crescita che ha accelerato sui massimi da quasi un decennio».
L’esperto ha poi notato che «rimangono elevati, con valori record in quasi sei anni, gli indici dell’indagine relativi ai prezzi, segnale del fatto che nei prossimi mesi assisteremo a rinnovate pressioni sui prezzi di consumo». E chi c’è al traino? Questa volta è stata l’attività delle imprese francesi a crescere ad aprile più delle attese al massimo di quasi sei anni, senza evidenziare segni di raffreddamento nonostante l’incertezza per l’esito delle prossime elezioni presidenziali. Stando ai dati preliminari di Ihs Markit, l’indice Pmi è salito a 57,4 da 56,8 di marzo, raggiungendo il massimo da maggio 2011, oltre le attese degli economisti a 56,2 e oltre le stime degli economisti a 56,9: «La Francia sembra proseguire sul sentiero della crescita, senza tener conto delle preoccupazioni legate al voto», ha aggiunto Chris Williamson. Più nel dettaglio, l’indice del settore dei servizi è salito a 57,7 da 57,5, superando le attese a 57,1. Grazie al balzo della domanda e all’euro debole, l’indice del comparto manifatturiero ha evidenziato un incremento a 55,1 da 53,3, oltre le attese a 53.
Perfetto: quanto resterà ancora l’euro debole, quindi il traino dell’export, stante l’intemerata di Trump contro il dollaro forte e il suo tacito patto di manipolazione valutaria anti-Ue con la Cina? Di più, siete curiosi di sapere da quale Paese provengono le aziende che maggiormente stanno beneficiando degli acquisti di bond corporate operati dalla Bce, di fatto un finanziamento alternativo, a costo zero e senza vincolo di rating del credito rispetto a quello bancario che sta uccidendo le nostre Pmi? Bravi, proprio dalla Francia. Pensate che Mario Draghi potrà continuare in eterno? Certamente andrà avanti ancora per un po’ e, forse, quando la Fed renderà noto il bluff sui tassi e tornerà alla politica espansiva, potrà anche aumentare il livello, ma o trasformiamo il Qe in qualcosa di fisso e istituzionalizzato oppure prima o poi il castello della falsa crescita cadrà, miseramente come quello di carta della grande ripresa spagnola. Fidatevi.