Della quarta rivoluzione industriale 4.0, quelli di McKinsey dicono: il 45% delle attività, che retribuiscono chi lavora, potrà essere automatizzata. Sono almeno 8 milioni negli Stati Uniti e addirittura 15 milioni in Gran Bretagna i posti di lavoro messi a rischio dall’intelligenza artificiale. Gulp! Sì, gulp, perché se il lavoro si riduce così come il reddito che lo retribuisce, i consumatori vanno in stand by, le imprese in game over. Tutto questo altera l’efficiente impiego dei fattori della produzione, pure la produttività dell’intero sistema.



L’occasione fornita dalle nuove tecnologie di rendere di nuovo efficiente l’impiego di questi fattori produttivi è ghiotta: per i consumatori l’occasione di poter approfittare di quel “digital dividend” che consente di recuperare capacità di fare reddito facendo offerta della domanda per sanare quel gap, che non consente ai consumatori di poter fare tutta la spesa necessaria a tenere attivo il ciclo economico. Digital dividend, perché nell’Economia dei consumi c’è più valore da estrarre dell’esercizio del consumo che da quello nella produzione. Come estrarlo? Big data! Sì, big data, il “file” dice di noi; cresce ogni giorno, con migliaia di dati che vengono raccolti, classificati ed elaborati in modo da costruire profili appetibili per inserzionisti pubblicitari pronti ad acquistarli.



Questi big data, vengono negoziati dagli inserzionisti con piattaforme di trading automatizzate; i Programmatic Advertising, con meccanismi ad asta in tempo reale. Chi vende il dato riceve una quota del prezzo che l’azienda acquirente dello spazio pubblicitario ha pagato. Nei mercati digitali la moneta con cui si acquistano i banner è il Cpm, il costo per mille visualizzazioni di uno spazio pubblicitario, e il prezzo corrente dei dati oscilla tra 0,50 e 2 euro Cpm. Le imprese li acquistano poi li interpretano, infine producono per offrire quel che vorremmo.

Un problema: loro hanno prodotto quel che vorremmo, non quel che possiamo acquistare. Bene, qui scatta il dividend: vale il rischio di spendere 150 miliardi di dollari per acquistare delle “impressioni” Vale il rischio di spendere per acquistare dai consumatori le emozioni, le passioni, pure quel che resta del bisogno migliorando così proprio il loro potere d’acquisto? Mentre loro riflettono, i consumatori fiduciosi di aver fatto una offerta conveniente, restano attesa.



Nell’attesa, vale il rischio di fare Network []: tra la responsabilità del ruolo e il vantaggio da incassare i consumatori si fanno impresa; le tecnologie 4.0 forniscono la possibilità. Un sito internet mostra in home, il sovrappeso degli associati – il loro vestire alla moda – l’andare in giro in Suv poi un urlo: siamo oltre il bisogno.

Dunque, con i tablet e gli smartphone che indossiamo ovunque andiamo, 24/24/365, si fa la lista delle nostre voglie. Le voglie di tutti fanno massa critica; il network le mette in bella mostra, ne fa offerta e attende domande al rialzo. Ai connessi delle imprese, oltre l’offerta in tempo reale, arriva un alert: “Il prezzo pagato deve poter far acquistare quel che si vuole vendere; così voi nuovamente produrre, noi poter fare i 2/3 della crescita economica”.

Bene, un nuovo equilibrio che vincola le imprese a fare utili se e quando i consumatori aumentano il potere d’acquisto; dentro quel “libero mercato Spa”. Sì, soci che lavorano appassionatamente per fornire continuità al ciclo della produzione.

[1] Allegato al libro, Il business plan del network: “La domanda comanda comanda, verso il capitalismo dei consumatori; ben oltre la crisi”.