I festeggiamenti dei “mercati” per la vittoria di Macron sono ancora ampiamente in corso e sono stati coerenti con la posta in gioco. In questi due giorni abbiamo imparato che i timori di un successo di Marine Le Pen o di un errore nei sondaggi era reale e che la vittoria del leader del Front National era percepita come potenzialmente letale per l’euro e l’Unione europea. Oggi la vittoria di Macron viene data probabile al 90% con un distacco incolmabile a meno di sondaggi clamorosamente errati. Sia nel caso della vittoria di Trump che nel caso della Brexit la distanza tra le due scelte era molto meno rassicurante di quella ampissima di cui viene accreditato Macron. L’altra cosa che abbiamo imparato è che l’Unione europea non deve apparire particolarmente salda se i dubbi sulla sua sopravvivenza raggiungono queste vette di preoccupazione. C’è ormai un sostanziale riconoscimento che l’Europa ha dei problemi strutturali: le differenze tra stati membri che si allargano rendendo sempre più difficili politiche economiche comuni e i conflitti tra Paesi membri in cui l’Unione europea è uno strumento a disposizione dei membri più forti.



Data per scontata la vittoria di Macron ci possiamo attendere che l’Unione europea continui a essere quello che abbiamo visto negli ultimi anni e soprattutto che gli investitori tornino a occuparsi dei “soliti” e ordinari problemi europei dopo quelli assolutamente straordinari posti dalle elezioni francesi. L’Italia è un problema ordinario e usuale almeno dal 2011, quando a più riprese si sono aperti i conflitti tra le richieste di austerity e le esigenze italiane di non compromettere una crescita fragilissima, le richieste di rispettare le norme sul salvataggio delle banche e quelle di preservare i risparmi e la fiducia dei risparmiatori. 



La ricetta applicata nel 2012 dall’Italia da Monti e in pieno accordo con le indicazioni europee ha peggiorato di molto la finanza pubblica perché la crisi ha più che compensato i benefici di maggiori tasse e minori spese; l’Italia dovrà nei prossimi mesi aumentare le tasse, l’Iva, con conseguenze ovvie sull’economia, oppure mettere mano di nuovo agli ultimi gioielli della corona delle partecipazioni statali senza le quali le sue possibilità di politica industriale vengono fortemente limitate. Siccome siamo “italiani” e inaffidabili non si può sperare che venga concessa la possibilità di finanziare opere pubbliche, visto che anche le spese per il terremoto sono state oggetto di dibattito. 



Finito il grande scudo delle elezioni francesi, si tornerà a parlare di Italia del suo debito e della sua complessa situazione politica e non è un bene per l’Italia, soprattutto se qualche sconsiderato decidesse di andare a elezioni. Si riproporrà una questione ormai ineludibile e cioè se l’Europa sia parte della soluzione o dei problemi dell’Italia, mentre per un numero crescente di persone, i disoccupati, la domanda diventa sempre più pressante. Diventa sempre più problematico coordinare una politica monetaria che tenga conto di Paesi con l’economia a pezzi e la disoccupazione al 25%, la Grecia, e quelli con i surplus e la piena occupazione come la Germania. Se esistesse un piano Marshall europeo per la Grecia dove vengono dirottati investimenti in infrastrutture e sussidi per la disoccupazione ci potrebbe essere una speranza; nella sostanza, però, bisognerebbe convincere i tedeschi a usare le proprie tasse per aprire fabbriche o costruire ponti in Grecia. Esattamente come si è fatto in Italia per decenni tra il nord e il sud del Paese. 

È possibile, ma non probabile, perché a quel punto sarebbero puniti alle urne i partiti politici tedeschi europeisti come suggeriscono i successi elettorali di Alternative fur Deutschland in un Paese che dall’Europa sta avendo tutto: valuta debole, surplus commerciale e fiscale e qualsiasi deroga alle regole per i propri interessi. L’altra alternativa sarebbe che i greci, gli italiani o i francesi smettano di essere tali e diventino tedeschi. Senza questa evoluzione le contraddizioni all’interno dell’Europa e i problemi per i Paesi che fanno più fatica a diventare tedeschi, Francia inclusa, sono destinate ad aumentare, mentre qualcuno teorizza che nemmeno un referendum con annesso voto parlamentare renda legale un’uscita dall’euro. Praticamente un dominio politico dei Paesi che comandano e prosperano in Europa sugli altri.

Cosa sia l’Europa ce lo ricorda la vicenda del raddoppio del gasdotto Nord Stream che porta il gas dalla Russia all’Europa attraverso la Germania e il Mare del Nord. Mentre il South Stream, costruito dagli italiani, è morto colpito dalle sanzioni europee, il Nord Stream viene raddoppiato nonostante l’opposizione dei Paesi dell’est Europa e nonostante le sanzioni europee contro la Russia. In pratica tutte le regole si possono adattare, piegare o ignorare se ci sono di mezzo gli interessi tedeschi. In Europa tutti gli stati sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri. Qualcuno deve rientrare dal deficit e qualcuno può mantenere il surplus, qualcuno può salvare le banche e qualcuno no, qualcuno si può permettere le norme anti-scalate e le banche popolari e qualcuno no. La sensazione è che il prossimo test di questa vicenda sarà a breve in Italia. 

Consolatevi dal 2011 in poi, Libia inclusa, banche incluse, gas incluso, tutela delle proprie imprese strategiche incluse, è solo colpa nostra. Noi però l’austerity l’applichiamo, i tedeschi non investono un euro in Grecia riducendo il surplus neanche morti. Viva Macron, quindi, fino almeno al 2022, perché i problemi non risolti poi presentano il conto.